2.3.15

Recensione "Birdman" (lo so, è un doppione, ma questa è troppo bella, altro che la mia) - Scritti da Voi - 30 - di Pierluigi Tronchetti

Non metto mai rece esterne di film che ho già recensito io. E' solo una questione di archivio, per non creare confusione. Però un amico, che non è nè un "blogger" (io sta parola la odio ma non trovo sinonimi) nè uno che scrive -che sappia io- da nessuna parte mi ha mandato questa di Birdman così bella e così "nuova" che meritava di essere pubblicata.
Grazie Pierluigi.


“L’illusorio volo di Birdman”

Ad Hollywood niente e' ciò che sembra. Una patina dorata avvolge e stravolge tutto e tutti, illudendo le figure umane che in quel modo dimorano,  di essere corpi celesti incastonati nella magnificenza del firmamento. Sono stelle brillanti, luccicanti, scintille di fulgida luce il cui riflesso altro non e' che  il frutto della compiacenza di un pubblico da cui sono stati sin da subito amati e idolatrati. Proiettati prematuramente in volo  sul palcoscenico delle divinità, prima ancora che su di un prestigioso set cinematografico, vivono  arrogandosi il diritto di poter essere al di sopra di  tutti!
Ma il volo, ciò che da sempre l'uomo ha cercato di rubare agli uccelli, non e' concesso ad ogni creatura vivente , e senza ali, da lassù, il rischio della  vita stessa e' tutt'altro che  una mera possibilità! Birdman o - l'imprevedibile virtù dell'ignoranza-, l'ultima fatica di Alejandro González Iñárritu( Amores perros, 21 grammi, Babel, Biutiful) , e' la rappresentazione in chiave moderna del  personaggio  mitologico Icaro, che pago',  con la propria inevitabile e rocambolesca dipartita ,la sua insolenza e bramosia per aver cercato di spingersi troppo in alto! Birdman si erige sul costrutto , molto ben architettato, di un' aspra  critica verso il mondo delle celebrità, o stars, come ambiziosamente esigono di essere chiamate, e del loro desiderio di apparire ed essere amate e ricordate ad ogni costo.  Iñárritu  ne evidenzia e ne deforma le fisionomie, deridendone i capricci  e mostrando per loro una sorta di pietà mista a pena,  condannandoli ad essere vittime  del loro stesso essere dei colpevoli .  

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La pellicola si avvale di una disamina che evidenzia la dicotomia tra la fama e il talento;     quella tra il cinema hollywoodiano ed il teatro di Broadway.  La straordinaria regia di questo fantastico cineasta/ drammaturgo messicano, e' elegante e ricca di virtuosismi.  Perfetta tecnicamente, scorre sinuosa, disegnando traiettorie impossibili nell'intento di pedinare morbosamente il vissuto intimo dei suoi personaggi. Riggan Thompson, un gigantesco Michael Keaton nella sua miglior interpretazione della carriera, viene messo a nudo, analizzato in modo autoptico fin nel profondo del suo ego. Ed e' proprio l'ego umano ad essere  scandagliato meticolosamente, sviscerato chirurgicamente sino ad estrapolarne una voce  e un corpo: Birdman! Un corpo che una volta divenuto materia, risulterà avere un peso specifico decisamente superiore se paragonato ai " 21grammi " dell'anima, ma allo stesso tempo non avere nessun valore che esuli dalla presuntuosa e pretenziosa convinzione di planare in volo al di sopra di ogni cosa. Nella realtà dell'esistenza umana, Birdman, un fantomatico supereroe decaduto, arrogante e sboccato, segue imperterrito ognuno di noi, ed il parallelo con il mondo fasullo dello sfarzo e degli eccessi di Hollywood, e' semplicemente un escamotage per ricordarci che, sul più grande palcoscenico che ogni giorno miliardi di persone calcano in questa meravigliosa opera teatrale che e' la vita, vige la medesima ancestrale paura: quella di non contare niente! Una paura terribile, al quale il nostro ego risponde con la  persuasiva strategia della menzogna, riesumando ogniqualvolta il vezzo dell'imprevedibile  virtù dell'ignoranza che da sempre e' insito nella nostra interiorità. 


 Iñárritu ci ricorda quanto le nostre ali di cera siano fragili al cospetto del sole che vorremmo raggiungere, e che, dinnanzi ai sei miliardi di anni di vita di questo pianeta , la nostra specie  altro non e' che un minuscolo e insignificante strappo di carta igienica accartocciato,  nonostante il nostro "super" io si affanni disperatamente a voler dimostrare, con qualsiasi mezzo, l'esatto contrario. La nostra piccolezza e' ben rappresentata nella scena del negozio di alcolici, all'intero del quale, una suggestiva scenografia addobbata da migliaia di luci sfavillanti, mostrano ad uno spento Riggan come il suo diritto all'unicità ed esclusività non sia minimamente contemplabile per le leggi che regolano l'universo, relegandolo ad essere solo uno dei tanti minuscoli copri che albergano in modo terreno su questo pianeta, e non parte integrante del firmamento. Una pochezza pavoneggiata attraverso lo scomodo e stretto costume/maschera che indossiamo, quasi una seconda pelle,  le cui aderenze non permettono alla nostra vera natura di librarsi, celando irreparabilmente al resto del mondo la nostra stessa essenza. Una verità che nascondiamo persino alle persone  a noi care, coloro che crediamo di amare. Amore la cui semantica confondiamo con ammirazione , barattando il valore emozionale rilasciato dalla chimica suscitata dal suono di quella parola, " amore", con l'irrefrenabile desiderio di fama e gloria(" tu fai sempre così, confondi l'amore con l' ammirazione"). Sempre alla ricerca dell'orrido, pur di apparire ed essere apprezzati, affondiamo perduti alla deriva dei nostri continui fallimenti, riscoprendoci ogniqualvolta involucri bisognosi del suadente e sensuale inganno  offertoci dall'ammirazione. 


Ammirazione metaforicamente rappresentata da un banco di meduse, i cui tentacoli,  avvinghiandosi alle nostre carni, ci bruciano l'epidermide in un mix di dolore e adrenalina che ci fa sentire ancora vivi, consentendoci così di riemergere dalle profondità oceaniche della nostra depressione; mentre sulla sabbia,  quelle stesse meduse  morenti,  diverranno facile preda del nostro insaziabile banchettare di uccelli ingordi. Il successo e l'ammirazione sono la dipendenza a cui i dettami del nostro ego ci impongono di far fronte, anche a costo di umiliare noi stessi denudandoci della nostra dignità( la  scena della camminata in mutande in mezzo ad una folla festante ne e' l'emblema). Una dignità che, per l'ignoranza dell'epoca  2.0, svendiamo in nome e per conto di una popolarità fittizia, edificata  sul numero esorbitante  di followers  Twitter / Facebook , le vere ali portarti della moderna società dei social network  che sanciscono  imprescindibilmente  chi esiste o meno, chi e' in volo e chi no. Ma siamo esseri umani, e anche se  i nostri sogni di grandezza, i nostri desideri di onnipotenza ,  sono come uccelli capaci di volare molto in alto , noi non siamo che un  misera ed insignificante  piuma, troppo tozza e pesante per alzarci in volo insieme a loro( il tatuaggio sulla spalla di Sam), non concedendoci altra  scelta, malgrado quella fastidiosa voce continui a ricamare su di noi un'immagine astrusa, se non quella di lasciarli andare. E nel trambusto di una batteria impazzita, quasi a scandire il ritmo cardiaco di chi e' bisognoso d'amore( ammirazione) , gettati nella violenta pugna per la supremazia del nulla, assieme ad una moltitudine di altri “super” io, cadremo, squarciando il cielo con l'unica luce che, incendiando ciò che resta di noi , ci sarà stato consentito emanare: quella di stella morente. E' il nostro ego a deformarci, ad imbruttirci. Per tutta la nostra vita non fa che dominarci, vomitandoci addosso conati di immortalità, salvo poi tirare l'acqua come si fa con lo sciacquone. Modifica i nostri tratti somatici, rendendo asimmetrico persino il nostro cuore, distorcendo irreparabilmente l'immagine che gli altri conserveranno per sempre di noi. Resterà la maschera, il costume che abbiamo indossato e non ciò che umanamente eravamo davvero.  Proprio come per Sam, i cui  giovani occhi sognanti, nell'amaro epilogo, si riempiranno della figura che quel padre "accettabile" aveva lasciato di sé: un fenomeno da comics-movie fallito e non  l'essere umano fatto di carne ed ossa chiamato papà quale realmente era. E alla fine non rimarrà che il rimpianto e tutte le occasioni perdute, smarrite  definitivamente  per non essere riusciti a scrollarci di dosso l'etichetta con cui abbiamo fatto si che il mondo ci catalogasse. Un catalogo dettato ignobilmente dall'ignoranza e dal pregiudizio, perché , come recita silente "l'epitaffio" nel camerino di Riggan, " A thing is a thing not what is said of that thing".

1 commento:

due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

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3 ciao