4.7.15

Recensioni Superiori (N°3): Pier91


Nelle precedenti due puntate ci eravamo trovati in quella zona pericolosissima che nel linguaggio comune viene chiamata "tra il serio e il faceto". Sì perchè se era evidente un certo divertimento nel riportare le recensioni di Mr619 o del mitico Orsetto Bundi, era altresì vero che io, comunque, una certa ammirazione (più de na certa) ce l'avevo davvero per loro.
Pier91 è un'utentessa di Filmscoop, come l'orsetto.
Quando apparivano le sue recensioni le divoravo.
L'età, se è quella che il nick richiama, è impressionante se riferita alla ricchezza, padronanza e intelligenza della sua scrittura.
Qui di faceto non c'è nulla, qui c'è un occhio e una sensibilità superiore e una superiore capacità di riportare sul "foglio" quello che quell'occhio e quella sensibilità hanno colto.
Spero che le faccia piacere sta cosa, ora la contatto.
Ma ormai il post l'ho fatto, se glie sta bene bene, se non glie sta bene peggio per lei.
Mi sarebbe piaciuto rileggermi un centinanio delle sue rece e riportare le più belle. Sarebbe stato troppo difficile e laborioso e allora, vi giuro, ne ho prese solo a caso un pò, seguendo titoli che conosco bene.
Tanto, do cogli cogli con lei.

CAVE OF FORGOTTEN DREAMS
La mia risposta all' ultima domanda di Herzog è: sì. Scrutando la grotta Chauvet, sì, sono stata sovrastata dal sentimento di un abisso temporale. Proprio come il coccodrillo albino, che in una splendida favola futuribile potrebbe non riconoscere, sulle pareti, i suoi alter ego, quelle fraterne creature aliene. Proprio come l' archeologo giocoliere, cui Herzog, geniale funambolo della parola, pone le domande perfette… proprio come lui, che dopo cinque giorni di esplorazione ha dovuto fermarsi ed assimilare, atterrito da immagini magiche, "mostruose", già gravide di tutte le scintille, di tutti i sogni dell' uomo sulla rappresentazione del mondo: la messa a morte dell' arte descrittiva, il sorpasso dell' arte statica, il cinema. Possiamo specchiarci in questi sognatori affrancati dalla Storia (disegnavano, a distanza di migliaia di anni, sopra le opere dei loro predecessori) senza provare vertigine?

Anche "Cave of forgotten dreams", come quasi tutti i film di Herzog, viene presentato allo spettatore come un' impresa grandiosa. Volute e rimarcate le parentesi sulla realizzazione faticosa, ostacolata, epica delle riprese. Solo un' ora di tempo per cristallizzare un tesoro intoccabile, quattro operatori, materiale esiguo. Ma poi, sorpresa!, il ritorno nella grotta, e la riscoperta, attraverso l' attrezzatura giusta e una buona dose di testardaggine tedesca, di figure finora lontane e quasi indistinguibili.

MOMMY
In un'unica bolla esistenziale si raggiungono alte quote e si esplorano profondità sotterranee. I disinganni della crescita ci costringono a ridefinire il concetto di affettività, a registrare il cielo e l'inferno. Steve, anche per via del disturbo che lo trascina sempre ai poli di ogni emozione, è icona della convivenza di moti contrastanti. Del resto sono proprio gli estremi, le pareti opposte delle inquadrature, i primi elementi che saltano all' occhio. Passioni asfissianti che spingono da ogni lato, che obbligano a barcollare in un centro instabile. A volte riusciamo ad allargare il perimetro del nostro agire, a srotolarci liberi su una superficie di irriflessione, per rilassare i nervi e sgranchire i pensieri. Dura poco, è meraviglioso.
Dolan circoscrive queste dinamiche nella storia d'amore fra una madre e un figlio. Soddisfa un' urgenza autobiografica, ma impedisce anche allo spettatore di lambiccarsi sull' autenticità dei sentimenti, anziché sulla loro vulnerabilità.
Steve e Diane, come tutte le perone che si amano, combattono sole contro la volgarità; sembrerebbe appartenere al loro linguaggio e abbigliamento "osceni", s'insinua invece nella grammatica perfetta delle ingiunzioni, nella prassi del licenziamento, nella tattica dell' abbandono.
Il loro è un assetto chiuso che teme e attende un' intrusione. Kyla si inserisce nella lunga tradizione del personaggio-ospite, dello sguardo estraneo che ha una funzione soprattutto narrante (la narrazione è il modo in cui decifriamo le cose che ci accadono). Si inserisce nella tradizione dicevo, ma con una peculiarità fondamentale: lei vuole essere guardata e decrittata a sua volta (non è un caso che Dolan abbia voluto assegnare proprio alla figura rivelatrice il limite della balbuzie). Questa rimbalzante vicendevole necessità d'essere intercettati dall'altro trova una sua delicatissima espressione nel momento dell' addio tra Kyla e Diane. Una delle scene che ho preferito in assoluto.
La musica raramente ha avuto un ruolo tanto fondamentale. Viene introdotta spesso come componente diegetica, è la musica che i personaggi ascoltano. Può non corrispondere ai nostri gusti, anzi credo abbia il preciso scopo di sfidarli. L'ultima canzone, "Born to die", ovviamente trova senso anche attraverso il titolo. "Die" è il nomignolo di Diane, si firma così in una delle prime scene, disegnando un cuoricino al posto del punto sulla i.
Quel qualcuno da cui ci si vuol separare, da cui si ritorna sempre.

SI ALZA IL VENTO
Rigettare le aggressioni di una vita esposta al vento, cullarsi nell' immunità di sogni intentati, lontani anni luce dalla volgarità del tattile, dall' ottusità delle menti, dalla consunzione della carne.
Oppure vivere.
Accogliere il sogno tra le crepe di strade squassate dal terremoto, sulle linee pulite di grafite attraverso mille notti insonni, nel calore di un corpo tremante destinato alla morte, nel prodigio di aeroplani splendidi destinati alla distruzione.
Finora Miyazaki ha sempre voluto sospendere i suoi racconti, mai concluderli. Stavolta ha continuato a scrivere, lo ha fatto sino in fondo. Sembra davvero giunto ad una liberazione irreversibile, e ad un altro, l' ultimo?, film bellissimo.

 CASTAWAY ON THE MOON
Nella sofferenza coagulata, nutrita dalla ripetitività della tristezza e dalla rarità dello stupore, si acquisisce un' ipersensibilità speciale. Lo schifo la sozzura la lordura dei luoghi e degli uomini diventano, nei pensieri cementati delle menti esauste, caratteri fondanti del mondo. Eppure, anche in questo mondo, in questo sporco sporco mondo, resi "incivili" dall' abbandono, rimpiccoliti ad una statura inerme ed innocente, ci si può trovare. Ci si trova nel duplice prezioso senso dell' espressione, ai limiti di un varco di dolore, esplosi in scintille di eguale bagliore.

 HER
Mi piace meditare sui titoli. Non conosco bene la lingua inglese, ma mi rifiuto di googlare per approfondire in quanto lo spasso finirebbe. Da ignorante et immaginosa quale sono, rilevo che le tre lettere h-e-r suscitano in me sorprendenti vibrazioni. Questa parola straniera, acquisita a scuola come un freddo vocabolo di specifica destinazione, qui diventa materia incandescente per i miei neuroni. Mi risulta che "her" sia traducibile come un "lei" d' approdo. Vale a dire che se c'è una "her", ci deve essere anche qualcun altro sintatticamente coinvolto. Questo è interessante, pone molte molte domande. Non soltanto: cos' è "lei"? Ma anche: cos' è "lui"? E banalmente: cos'è "io"? Di fatti, l' ultimo film di Spike Jones è ad alto tasso paranoide, di quelli che andrebbero evitati la sera tardi. Coinvolge tutti, ed è appunto ciò che più destabilizza. Quando veniamo coinvolti individualmente ci sentiamo vezzeggiati, o viceversa presi di mira: creature speciali. Ma essere considerati tasselli dell' umanità è sempre un po' spaventoso. Mal comune mezzo gaudio, sì, ma anche mezzo mestesso in meno (il mestesso del qui ed ora). Il punto credo sia proprio questo, ovvero la frammentazione che comporta l' innamorarsi, nel senso più astraibile. Non so se sia per la presenza di J. Phoenix e di Amy Adams, che hanno recitato a fianco di P.S. Hoffman, se sia la notizia della sua recente morte che ancora mi ronza in testa, se sia per il fatto che Jones e Kaufman sono stati stretti collaboratori, ma io ho pensato spesso a "Synecdoche, NY" durante la visione. In fondo credo che entrambi i registi abbiano voluto perdersi nello stesso busillis: la funesta mutevole intelaiatura degli incontri. Succede, anche in un mondo senza volti, anche in mondo in cui "her" non è mai fisicamente "here", se solo di va oltre il "Piacere sono Theodore" e le altre cerimonie, di infettarsi a vicenda. Ci si fa a pezzi senza distruggersi, ci si ricompone con tracce diverse. Come dice Qualcuno a proposito di Qualche Legge: "Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma". Ebbene questa disgrazia è la nostra immensa ricchezza. Credo di essermi sentita anch' io come Theodore e Amy, ogni tanto, sulla cima di quel palazzo. Assolutamente smarrita riguardo al doveandrò, ma finalmente decrittata, come fossi stata per troppo tempo un difficile enigma; appagata, dopotutto, dal percepire dovesonostata.

 OLD BOY
Una spirale inchiostrata per scandire gli anni sulla pelle. Al quindicesimo tatuaggio Taesu ritorna all' aria, all' altro, all' oggetto del desiderio. Cerca, rievoca, e rievocando punisce, col suo fumettistico martello. In un piano sequenza da gioia ventrale, sfonda un muro umano, lo rende orizzontale.
Ipnoticamente (geneticamente) si innamora; di una solitudine acerba, ragazza col mascara sciolto dal pianto, passeggera di un treno kafkiano. Taesu nuota dentro Mido, poi le asciuga i capelli come fosse la sua bambina. Scopertala davvero figlia, sacrifica a Wujin l' organo imperdonabile, lingua di cane tragicamente distratto.
Wujin e la sua lentissima detonazione d' odio sono giunti all' ultimo guizzo di polvere. Taesu no, ama troppo la vita, anche se è quasi tutta rimpianto, e granelli di felicità che provocano frane immense.
In un luogo che la neve ha privato di identità e memoria, anche gli affetti ritrovano una dimensione assoluta, bianca, senza confini. Le parole pronunciate da Mido cristallizzano il più inalienabile dei sentimenti. Scrivono, con "Ferro3", un miracolo tutto coreano.

LE ONDE DEL DESTINO
E' vero che la protagonista è dreyeriana, sono perfettamente d'accordo. Ma Von Trier si spinge oltre, non smentisce l'indole da impostore. Mi fa sentire presuntuosa quasi quanto lui, mi impedisce di avvicinare il suo personaggio femminile così dichiaratamente stupido. Di una stupidità erotica e tenera, che non arranca per smentirsi e rivelare d'essere altro, magari ingenuità.
Non vedo nulla di straziante nella figura di Bess. Una dedizione come la sua, più canina che umana, non riesce a far leva sulla mia compassione, in alcun modo. Credo che "Crossing the waves" sia un film intellettuale piuttosto che sentimentale. Così inteso l'ho adorato.
La vicenda di Bess costringe ad esaminare i pregiudizi della gente "mentalmente aperta". Un uomo che dedica la vita all'arte o alla scienza è un genio, un uomo che dedica la vita all'amore è un romantico, spesso nell'accezione di cretino. E' quel che pensiamo anche dei credenti genuflessi, se solo siamo atei o incuranti. Quasi che l' amore abbia la stessa turbante evanescenza di dio, ossessione vergognosa per chi crede come per chi non crede.
Il finale ha una straordinaria sensibilità, ambigua oltre che provocatoria. Lei muore, Lui guarisce. Le campane suonano in cielo, difficile stabilire di chi celebrino la gloria. Forse il rintocco è opera di Bess, forse dello spettatore nichilista.

2 commenti:

  1. brava Pier91, in "Her" non capivo Spike Jones, poi ho capito:)

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    Risposte
    1. C'è poco da capire, è un errore ;)

      Ma, mi ha scritto su filmscoop, errore che vuole mantenere per un fascino naif.

      E ti ringrazia.
      Ciao!

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