Un film apparentemente normale, con personaggi abbastanza stereotipati, una costruzione delle scene basica, una colonna sonora ridondante e nessuna sequenza tecnicamente da ricordare.
E allora ecco che per una volta bisogna andare fuori dal film e vedere chi l'ha girato.
Ed è così che Dolor y Gloria diventa un film bellissimo perchè vero, autentico, generato da un bisogno e da un'urgenza di dirsi e raccontarsi.
Un Banderas mostruoso dà vita a chi tanti anni fa ha dato vita a lui, il regista che l'ha scoperto e fatto diventar grande, Almodovar.
E in questo film che racconta di glorie passate e di dolori fisici e psicologici presenti impossibile non essere profondamente emozionati e debitori per un racconto così rispettoso e genuino, e questo avere la percezione di non stare vedendo solo un film di Almodovar, ma quello di Pedro
Recensire l'ultimo Almodovar è una bella occasione per parlare di un qualcosa abbastanza nuovo per questo blog, ovvero il constatare come, tra le tante variabili che si hanno nel giudicare un film, ce n'è una per certi versi "sbagliata" ma in alcuni casi ineludibile.
Un film, tendenzialmente, dovrebbe essere giudicato per quello che è, rimarcandone pregi e difetti.
Avviene però a volte una cosa strana, ovvero che l'analisi "oggettiva" di un film (e per oggettiva intendo quella che non comprende aspetti extrafilmici) non può prescindere, invece, dal non considerarli questi aspetti extrafilmici che ho cercato di sequestrare nella parentesi precedente.
Ed è grazie a questo che posso dire che Dolor y Gloria è un grande film.
Mi spiego meglio.
Se io avessi visto questo film una sera in tvnon sapendo chi fosse l'autore non solo l'avrei trovato poco più che buono ma, probabilmente, rischiavo anche di cambiar canale.
Perchè Dolor y Gloria è un'opera che a livello puramente cinematografico dà pochissimo, con questo stile tremendamente televisivo fatto di campi medi, campi e controcampi, pochissimi movimenti di macchina, una colonna sonora strappacoglioni che sottolinea quasi ogni scena, dei personaggi stereotipati e questo sentore di melò sempre dietro l'angolo.
Non è il mio cinema questo, sia a livello tecnico che contenutistico.
Ma ecco che arriva la variabile di cui sopra.
Questo è un film di Almodovar.
E non è che perchè sia un suo film debba allora esser bello (io poi Almodovar frequentato sempre pochissimo, questo è solo il mio terzo/quarto suo) ma perchè mentre guardi Dolor y Gloria ti rendi conto di quanta verità, di quanta onestà, di quanto quella che io chiamo "urgenza di dirsi", sia presente.
In ogni personaggio, in ogni vicenda, in ogni rapporto umano, in ogni dolore, in ogni speranza recisa, in ogni desiderio inconfessabile io riuscivo a vedere Almodovar che raccontava sè stesso.
Lo stesso film girato da un regista che non metteva dentro la propria vita io lo avrei trovato poco più che sufficiente.
Lo stesso identico film, frame per frame.
E invece no, e invece questo è quasi un film testamento, un delicatissimo, misurato e vero - verissimo - racconto di sè, della propria vita, dei propri dolori fisici ed esistenziali, del proprio pazzesco, sconfinato, amore per il cinema.
Non è un caso che io abbia scelto la locandina francese del film, bellissima, con quell'ombra di Banderas che forma, hitchcockianamente, il profilo di Almodovar.
E pensare che io, come sempre, ero arrivato alla visione completamente vuoto di notizie, senza sapere nemmeno quanto questo film fosse biografico.
Poi, però, vedo che il personaggio di Banderas è un autore/regista, poi vedo i suoi capelli schizzati all'insù e capisco tutto.
E da quel momento vivrò il film in due modi, quello cinematografico (che non riesco quasi mai ad eliminare) e quello più intimo, quel poter conoscere il Pedro dietro l'Almodovar.
Ad un certo punto Salvador parla del suo film più famoso, quel "Sabor" girato 32 anni prima.
E allora mi è venuto in mente di andare a vedere la filmografia di Almodovar.
E cosa c'è 32 anni fa?
Un film che si chiama "La legge del desiderio", titolo praticamente identico a quello che, nel finale, sarà il "film nel film" dentro Dolor y Gloria, il film in cui Salvador racconta la propria vita
E di cosa parla quel film di Almodovar di 32 anni fa ?
Di un regista, della sua vita e dell'omosessualità.
Bingo.
E chi recita in quel film?
Banderas.
Ribingo.
Se poi pensiamo che solo l'anno dopo Almodovar girerà il film che lo lancerà nel mondo, Donne sull'orlo di una crisi di nervi, vediamo che i pezzi sono ancora più incastrati.
E che meraviglia che per interpretare sè stesso Almodovar scelga proprio l'attore protagonista di quei suoi primi film.
Una specie di cortocircuito artistico e umano che, se ci pensate, diventa ancora più parossistico quando dentro Dolor y Gloria vediamo Alberto Crespo, l'attore di Sabor, interpretare a teatro la vita di Salvador, il suo regista, praticamente la stessa identica operazione che Almodovar ha compiuto con Banderas.
Capite perchè questo film, per essere giudicato, debba essere indissolubilmente legato a chi l'ha girato?
Che poi io di Amodovar so nulla altrimenti chissà quanti rimandi, quanti richiami e quante cose potrei cogliere.
Ma mi bastano queste qua, molto piccole e scoperte da solo, per capire il bisogno e l'urgenza che stanno dietro questo film.
Film che, come titolo annuncia, parla di dolore e gloria.
La seconda sembra ormai passata, almeno quella lucente.
Salvador è ancora un artista stimato ma ormai il suo tempo pare essere andato, anche un pò per colpa sua, incapace di rimettersi in gioco e crederci fino in fondo.
Il dolore invece, ecco, quello è talmente presente e attuale che gli urla dentro.
E non è solo il dolore del corpo (questo è quasi il film di un malato cronico perdipiù, forse, ipocondriaco) ma è anche il dolore di un'esistenza malinconica, spuria, incompleta, insoddisfatta.
Salvador si lamenta "solo" dei suoi dolori fisici (schiena, ginocchia, respirazione e tanti tanti altri) ma in realtà più il film va avanti più abbiamo l'impressione di una fortissima identità con i suoi problemi psicologici.
Silvestri l'avrebbe definito un uomo parzialmente scremato, incapace di essere intero.
Ma questo sarà un film simile ad una seduta psicoterapica visto che tra ricordi e incontri Salvador potrà ripensare ed analizzare tutta la propria vita e, forse, raggiungere una specie di catarsi che, restando in metafora, potrebbe essere rappresentata dalla tac negativa.
Gran parte delle nostre esistenze sono simili alla sensazione di avere un tumore, un qualcosa che ti mangia dentro e che rischia di ucciderti.
La malattia dell'anima genera o somiglia alla malattia del corpo e la malattia del corpo, viceversa, può somigliare o generare la malattia dell'anima.
E in questo film Almodovar riesce in una maniera profondamente delicata, mai urlata o catastrofica, a raccontarci questa convivenza delle due sfere, questo raccontare malattie sì "oggettive" ma rese quasi mortali da una scarsa voglia di lottare o di vedere il bello delle cose.
Salvador è personaggio molto malinconico, tutto proteso al passato, incapace di restare serenamente ancorato al presente e, men che meno, rivolto verso un futuro fatto solo di sceneggiature abbozzate.
Sarà allora il ricordare la propria vita, l'incontrare l'amore di un tempo e poter finalmente chiudere un cerchio aperto da 30 anni, il togliersi l'angoscia del tumore e, forse, soprattutto, il ritrovare sè stesso in quel ritratto di bambino a poter portare Salvador a pacificarsi e, nel finale "super meta-cinematografico" (io l'avevo intuito quando ho visto sua madre vecchia completamente diversa dalla Cruz) non solo vederlo sereno ma tornare al lavoro, girare il film della sua vita (come Almodovar, in contemporanea, stava facendo con Dolor y Gloria).
Il film è molto emozionante ma fatto di un'emozione nascosta e sussurrata, quelle che di solito si creano quando assistiamo a cose non eclatanti ma che ci sembrano vere.
Almodovar non piange mai su sè stesso, racconta le cose anche con ironia e non carica mai i momenti più forti di eccesso.
Io ho trovato meravigliosa la parentesi con Federico, l'amante di un tempo.
Non c'è nè volgarità e nemmeno pruderie ma un mix perfetto, umano, adulto.
Quei due uomini che su guardano, uno, Salvador, che finge di essere andato avanti e invece è ancora laggiù nel tempo, fidanzato con Federico, l'altro, Federico appunto, che invece avanti è andato davvero e non solo come vita ma anche come scelte più intime.
Eppure i due uomini si guardano come si guardano due amici a un cm dall'essere amanti, e che bello allora quel bacio, vero, quasi "dovuto", pulito.
Ma i due uomini sono adulti e anche Salvador, in quei pochi minuti, ha saputo capire, ha saputo "maturare".
Ma del resto la parentesi con Federico era già cominciata prima, in quel teatro dove è arrivato per caso (e attenzione, il caso la fa da padrone, pensate anche al ritratto nel finale), 10 minuti bellissimi in cui il gioco di Almodovar, il suo cortocircuito, non si limita soltanto a cinema e vita ma anche al parallelo tra cinema e teatro, rappresentazione e racconto e, se vogliamo, anche presente e passato con quel racconto di Federico eroinomane fatto adesso da un eroinomane come Salvador è diventato.
Ancora una volta non abbiamo niente di tecnicamente valido ma un senso di onestà e verità che vale tutto.
Intendiamoci, il film a tratti è anche bello da vedere, e lo è soprattutto per un uso magnifico dei colori, quelli della casa di Salvador, quelli del mare e delle donne che fanno il bucato, quelli del bianco del paese con le grotte, quello della pelle sudata, quello dei vestiti di Alberto e Salvador, quello della carta da parati degli studi medici o del soffitto dello stesso studio medico, quel soffitto che ricorda il cielo che vedeva nella grotta il Salvador bambino.
E' un film malinconico ma che ha un vestito sgargiante e solare, un film malinconico ma non pessimista.
E poi la prova di Banderas è superlativa, la prova di qualcuno che sta dando vita proprio a chi a lui ha dato vita.
E come non finire sul passato, il passato di quei flash back che, scopriremo poi, altro che flash back sono, anzi, tutto l'opposto, sono il futuro di Salvador, sono la sua rinascita, sono il suo ritorno al lavoro, sono la sua serenità.
E sono tante le scene belle o bellissime, specie quelle nella magnifica location della grotta.
Come dimenticarsi ad esempio di quel bimbo che vede il ragazzo nudo e crolla, crolla giù sopraffatto dall'emozione, probabilmente il giorno zero della sua scoperta di identità e sessualità.
Ma c'è una scena prima che io ho trovato incredibile, talmente delicata e forte che mi ha commosso.
Il piccolo Salvador sta insegnando a scrivere al bello ma ciucco pittore.
Ad un certo punto mette la sua mano in quella dell'altro, per aiutarlo a scrivere.
Credo che poche volte io abbia visto un gesto così piccolo e sussurrato che racconti l'omosessualità.
E non è la mano di un adulto che prende quella di un bambino ma quella di un bambino che prende quella di un adulto.
Io credo che in quella mano lì ci sia tanto di Dolor y Gloria, ci sia l'emozione, la paura, il dolore, il desiderio che poi tutto il film racconterà.
Io credo che in quella mano ci sia Pedro Almodovar.
Ed è per questo che un film normale può diventare bellissimo.
Come bellissimo è quel bimbo che legge nella sedia.
Qualcuno gli sta facendo il ritratto.
E in questa istantanea, in questo scambio di letture e desideri, c'è una vita intera, quella che verrà
mi è piaciuto molto
RispondiEliminacome non essere d'accordo con quello che scrivi?
io sono d'accordo!
EliminaPedro ha firmato il suo testamento artistico nella maniera più sincera possibile. La (s)fortuna degli artisti è che hanno la possibilità di usare la loro opera per esorcizzare i fantasmi della loro esistenza, per sciogliere nodi, per chiedere scusa alla mamma. Oltre a Von Trier il cinema ha salvato Almodovar dal baratro della depressione e noi non possiamo che ringraziare questo rettangolo bianco che sa di piscio.
RispondiEliminasplendido commento, non una parola di troppo, non una sbagliata
Eliminae, pensa, volevo citare la casa di jack in recensione, giuro, l'avevo anche appuntato
ma poi vado sempre per altre tangenti e scrivo in maniera automatica
Bella la tua interpretazione!
RispondiEliminaIo con Pedro non sono obiettiva, a parte qualche lacuna di film che ho preferito non vedere, amo molto il suo stile di raccontare. Riesce sempre a sorprendermi con le sue storie, per quanto anche assurde un po' sopra le righe, grazie al suo tocco han sempre tanta vita dentro che diventano credibili. Gli attori sotto la sua direzione tiran fuori il meglio. Anche i ruoli di cornice son sempre piccole gemme.
Questo e' il suo film piu' introspettivo, il punto di vista piu' maschile, le donne ci sono, la madre e l'assistente sono figure determinanti, ma la presenza e' piu' discreta meno scoppiettante. Pedro qui e' entrato in pieno nella sua storia, dolore e gloria / vita e arte/ desiderio e riflessione.
Una scena chiave per me e' quella all'inizio con lui in apnea, funziona come un analgesico annulla il dolore, con assenza di peso proprio ed interferenze esterne il protagonista puo' iniziare ad ascoltarsi. Poi la storia inizia il suo cammino, la seguiamo avanti ed indietro tra presente e passato, che poi scopriamo essere futuro.
La colonna sonora, solo la parte strumentale, in effetti e' piuttosto fastidiosa ed inoportuna ma e' come le sue emicranie.
Francesca Basile
io, come forse avrai letto, l'ho invece frequentato poco e quindi non posso dirmi grande conoscitore del suo cinema ;)
Eliminaquindi ho letto con gusto e ammirazione il tuo commento, senz'altro più "competente" su pedro
però, insomma, anche io - come quasi tutti - avevo intuito che forse questo fosse il suo film più personale o almeno quello con più sua vita dentro
bellissima e pertinente la riflessione sull'apnea, non ci avevo pensato...
"la seguiamo avanti ed indietro tra presente e passato, che poi scopriamo essere futuro"
pensa che c'è gente che non l'aveva capita sta cosa, ahah
quel "in effetti" mi fa pensare che in rece anche io ho storto il naso su quell'aspetto ma adesso non ricordo, ahah
Tue parole "una colonna sonora strappacoglioni che sottolinea quasi ogni scena" ahah
RispondiEliminaFrancesca b
ahah, direi che non mi era piaciuta allora ;)
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