19.9.18

Recensione: "Entertainment"


Un comico che non fa ridere nessuno.
Misantropo, misogino.
Se ne va sul palco a dire le sue volgari battute, in un tristissimo tour fatto in un'America desertica che sembra morta, come, del resto, sembra morto lui.
Un film di una malinconia infinita, di una solitudine cosmica, pieno di immagini fortissime di vuoto e abbandono.
Una figlia da chiamare la sera, senza mai ricever risposta.
Grande cinema, forse, tra tutti, quello più vicino a me


A me la figura dell'artista malinconico, solo, magari non di successo, o meglio ancora non più capace di averlo quel successo, ha sempre creato una grandissima empatia.
A cercarli troveremmo almeno una decina di grandi titoli sull'argomento.
Non posso però non menzionare tre capolavori o mezzi capolavori.
Uno è il clown di Chaplin in Luci della Ribalta, Calvero. Un clown che non riceve più applausi, ormai solo, abbandonato, prossimo al suicidio. Tra l'altro in questo che è uno degli ultimi film del Sommo c'è anche l'unica scena nella storia in cui i due più grandi di sempre nel loro campo, Chaplin e Keaton, sono insieme.
Poi, almeno 40 anni dopo, c'è stato il fantastico Man on the Moon in cui un Jim Carrey da pelle d'oca interpreta -in modo mimetico, pauroso- il "comico che non faceva ridere", il geniale Andy Kaufman (evidentemente un cognome ad uso dei geni).
Dieci anni dopo esce invece L'Illusionista, l'enorme film di animazione di Chomet.
Un mago che non sorprende più nessuno, che non meraviglia più nessuno. La sua malinconia, la sua amicizia con una bambina.
E quel "i maghi non esistono" finale che mi fermò il cuore per parecchi minuti.


E adesso, ultimo esponente di questa magnifica famiglia, c'è Entertainment del giovane regista indipendente americano Rick Alverson.
Ancora una volta con un impressionante attore protagonista, Gregg Turkington.
La storia di un comico da cabaret volgare che gira gli Stati Uniti senza far ridere quasi nessuno.
La storia di una solitudine cosmica.
Un film che sembra girato con la focale della malinconia, dalla prima all'ultima scena.
Ma non c'è retorica, anzi, il personaggio principale - di cui non sappiamo il nome mi pare- è personaggio ambiguo, sfuggente, duro, con dei fortissimi lati misantropi e misogini.
Eppure ti si attacca addosso, eppure quando lo vedi riempirsi quei capelli di gel e andarsene unto e spelacchiato sul palco ti prende una pietas talmente grande che anche quando lo vedi vomitare insulti della peggior specie ti verrebbe voglia di abbracciarlo forte e basta.
E' un film bellissimo questo Entertainment (e il titolo con lui), una storia che aveva urgenza d'esser raccontata, un personaggio che non si dimentica e una regia perfetta, simmetrica, glaciale ma anche capace di usare le luci calde in modo meraviglioso.
E con un uso del campo e del controcampo da brividi.
Sì, in questo film quasi ogni scena è campo e controcampo, ma non quello banalotto da dialoghi televisivi, ma quello carico di significato che ci fa vedere i nostri personaggi di spalle e poi in viso perchè vuole mostrare due prospettive dello stesso mondo.
E' un artificio tecnico che proprio negli spettacoli "teatrali" ha la sua apoteosi, perchè da un lato vediamo l'artista, dall'altro, 180 gradi più in là, possiamo vedere quello che lui vede, il pubblico.
Ma Alverson userà questa tecnica "on stage" ovunque, seguendo il Comico quasi sempre di spalle e poi regalandoci dei magnifici primi piani.
Queste sono le regie che amo, quelle in cui ogni scena, anche la più banale, sembra un frame da salvare.
E come dicevo sopra è immenso il lavoro di luci, blu, rosse, neon, tanto che a volte ci sembra di essere in un film di Rumley, un maestro in questo senso.
E la colonna sonora è pazzesca con almeno tre brani (uno lo trovate nel trailer) stupendi, su tutti quello che ci accompagna in una sequenza muta, quella di lui che in macchina va in quel buco di culo di deserto e quando quei giovani stanno montando le telecamere per riprenderlo lui si gira e torna indietro.
Quattro minuti bellissimi che hanno dentro gran parte del nostro personaggio, un uomo schivo, solitario, misantropo e incapace quasi del tutto del minimo rapporto sociale.

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Quello che ho trovato straordinario in questo film è il pendant che c'è tra personaggio e luoghi.
Quello del Comico è un tour in un'America senza più vita.
Prima il cimitero degli aeroplani (grande incipit), poi quelle turbine che succhiano petrolio nel deserto, poi la città fantasma non più abitata, poi quella macchina ribaltata senza un motivo, poi le sedie vuote nella sala d'aspetto della cromoterapista (scena che mi ha ricordato la locandina dell'ultimo film di Alverson, The Mountain).
Ogni luogo visitato è puro abbandono, è puro "c'era una volta or non c'è più".
E anche il nostro Comico è così, un uomo che forse c'era una volta ma or non c'è più.
E in questo contesto è giusto inserire la figura della figlia, sempre che questa sia mai esistita, una figura che forse fa parte del passato dell'uomo ma che ora è solo un'ascoltatrice fantasma dei messaggi vocali che lui le lascia, ogni singola notte, al telefono.
E forse sono proprio queste struggenti telefonate (quella con l'Ave Maria, brividi) a farci restare attaccati all'uomo, a farcelo sentire vicino, anche quando poi lo vediamo fare cose orribili, come quella volta in cui lancia offese indicibili (davvero, indicibili) ad una ragazza in un pub (e che spettacolo il viso di lei...).
Io non lo so se prima quest'uomo ha avuto affetti, se era felice, se aveva un'esistenza serena, se ha commesso errori irreparabili o, semplicemente, non è una persona adatta alla vita.
Quello che vedo adesso è un essere umano che si trascina, incattivito, disilluso.
E, probabilmente, Entertainment racconta anche di una malattia mentale sempre forte, di una lenta discesa nell'abisso che porterà a quello splendido, splendido, finale, metacinematografico, di pazzia.
Del resto nei suoi spettacoli lo vediamo sempre più in difficoltà, lì a ripetere le stesse parole anche 5,6 volte, con quella voce insopportabile e stridula, lì a ripetere a tutti gli stessi concetti (vedi quello sulla sicurezza), sempre con uno, due, tre drink in mano (davvero, letteralmente, non lo vediamo quasi mai senza bere).
Ci sembra un uomo sempre più alla deriva e quel finale, quel crollo, quella prigione, quella risata e quel vedersi nella telenovelas preferita credo siano la giusta conclusione di tutto.

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Ma Entertainment è anche tanto altro, c'è un Reilly che pare il personaggio di Magnolia, ma dove nel capolavoro di Anderson era in qual modo perchè sempliciotto e buono qui pare esserlo per scarsissime capacità mentali.
C'è la figura del clown collega del Comico, un clown che non fa praticamente nulla, che si limita a saltare e fare la scimmia, eppure conquista sempre tutti (figura interessantissima e riuscitissima).
Ci sono scene apparentemente senza senso (la macchina ribaltata neldeserto, il dialogo con Cera, quello con la cromoterapista, la festa tristissima che finisce in una specie di sauna orgiastica, la donna che partorisce).
Scene che a livello narrativo non hanno sbocchi, solo surreali inserti, uno più riuscito dell'altro, che regalano al film un'aurea ancora più straniante per lo spettatore.
Poi la sequenza del trofeo e delle scoregge e quella finale della torta ci raccontano di un uomo ormai abbandonato dal suo cervello, un uomo che probabilmente alcune cose se le è anche immaginate.
Entertainment è il cinema che amo, quello del togliere, dei personaggi outsiders, del racconto delle difficoltà del vivere, delle non risposte, dell'ambiguità.
Ma è incredibile come in un'opera piena di cose, piena di situazioni, a me sia rimasta impressa una scena piccolissima, trenta secondi.
Sembra del tutto inutile, lo spettatore se la dimentica un secondo dopo che c'è stata.
Eppure m'è rimasta impressa fino alla fine.
Per un giorno ho pensato al perchè, poi, con non poca emozione, ho capito.
Il Comico è in un ranch, nel ranch di Reilly.
Quando questo va via rimane un minuto appena da solo con il messicano che si occupa di quel ranch.
Un messicano che non conosce una parola d'inglese.
Questi fa un gesto al Comico.
Il Comico ride e gli mima lo stesso gesto.
Nient'altro.
Ma c'è una cosa in tutta questa scena che è simile ad una Apocalisse dell'anima, ed è questa a cui ho ripensato il giorno dopo.
Il Comico ride.
 Per la prima e unica volta dell'intero film.
Ride con questo messicano che non può parlargli nella sua lingua.
Ride di questo momento di vita rubato, di un gesto.
Ride con una persona con cui non può parlare, con una persona incontrata accidentalmente e che un minuto dopo non rivedrà mai più.
Sono quei piccoli momenti minuscoli, improvvisi, senza un perchè, in cui anche l'anima più nera e senza speranza ha un inspiegabile e immotivato momento di serenità.
Il Comico ride col messicano e poi se ne va via.
E questo andarsene via somiglia tanto a come se ne andava via l'uomo con la bombetta che ha aperto questa recensione.
Di spalle, verso l'orizzonte.
Ma Charlot faceva questo con una malinconia che non era disgiunta dalla voglia di vivere.
Lo faceva roteando il suo bastone.
Il Comico no, il Comico se ne va verso un orizzonte nerissimo, capelli unti, occhialoni, rabbia e tristezza.
Se ne va senza che nessuno risponda a quei messaggi vocali.

"Why???"
diceva sempre con quella voce stridula nei suoi monologhi

già, why? perchè?

non lo so

e non lo sa nemmeno lui

8.5

9 commenti:

  1. Si tratta veramente di un film sorprendente. All’uso virtuoso del campo-controcampo a me è piaciuto il gusto per le riprese degli ampi spazi, che nelle terre desertiche californiane hanno l’effetto desiderato, quello di accrescere il senso di totale solitudine del comico (“la focale della malinconia”), isolato perfino quando fa visite guidate o diventa spettatore in un seminario di cronoterapia.
    Un personaggio incredibilmente reale dal mio punto di vista, perché mi ricorda alla perfezione certi mendicanti che elemosinano qualche spicciolo in cambio di uno spettacolino o qualche oggetto in vendita: si capisce che si tratta di individui che vivono male la propria condizione stentata ed alcuni, se arriva lo stupido di turno ed inizia a prenderli in giro, sono capaci di tirar fuori una violenza che non ti aspetteresti. Qui c’è un comico dalla postura da depresso, che fa più ridere per il suo vestirsi a pantaloni laschi, gli occhialoni da cui non si separa neppure quando rotti, il rituale del gel nei capelli a riporto, la voce ingolfata dai bicchieri di alcol che si porta in scena, quel ripetere ossessivamente le sue domande, che per il contenuto delle sue penose e volgari freddure. E il suo rapporto col pubblico pare quasi di disprezzo, con una paranoia per lo stesso che si manifesta spesso in odio viscerale, al punto che stai là a chiederti come sia possibile che qualcuno ingaggi un personaggio simile. Il suo dramma probabilmente è nelle telefonate a una figlia morta o da cui si è diviso ed il suo osservare tutto ciò che accade fuori dal palco con un insolito mutismo per me è una peculiare scelta registica, secondo cui l’unica risposta possibile di fronte a certi comportamenti umani (difficile stabilirne il confine tra reale e surreale) è stare zitti.
    Un’apoteosi quel finale a peti simulati che al meglio rappresenta la caduta libera verso l’instabilità mentale del protagonista. Il pregio del film è anche quello di riuscire a far sorridere mentre rappresenta un vero e proprio dramma umano e in questo c'è veramente tanto Chaplin.
    Vittorio (darkglobe)

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    1. la focale della malinconia bellissima espressione, il fatto che tu l'abbia messo tra virgolette forse presuppone che "esista", dopo cerco in rete

      assolutamente, non so se in rece ho fatto quel discorso sui luoghi ma ricordo perfettamente che pensai tutto quello che hai scritto

      straordinaria descrizione del personaggio e delle sue dinamiche psicologiche Vittori, complimenti

      ma sai che io solo dopo la fine del film ho "capito" che quasi sicuro la figlia era morta? pensavo fossero solo telefonate al vuoto, non risposte, ma poi ripesando al personaggio e all'anima del film dò quasi per scontato che sia morta (mi ricordo in questo un altro film del guardaroba, ma non lo dico prchè sarebbe un grosso spoiler)

      Sai che questo è uno di quei personaggi talmente complessi che uno si chiede se sia troppo intelligente o troppo stupido. In entrambi i casi sarà schiacciato dalla vita

      io quando riesco a ridere emozionandomi e provando anche malessere è il massimo

      credo che in questo sto film sia un gioiello, ma solo per spettatori pronti ad andare a fondo e provare empatia per il "negativo", per quei personaggi che repelli e scansi ma, se hai laforza, riesci a scorgere il dolore

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    2. Ah, era anche il primo commento al film, grazie!

      se lo meritava, quando film così belli non ne hanno manco uno mi dispiace "per loro"

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    3. L'espressione sulla focale è bellissima ma è tua, ecco perchè l'ho virgolettata ;)

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    4. no vabbeh, epic fail, io che ti faccio i complimenti per una cosa che avevo "inventato" io stesso e te avevi così carinamente citato, ahaha, assurdo, se uno non mi conosce mi prende per onanista

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  2. Visto qualche giorno fa tramite il guardaroba..
    Questa è la seconda opera che vedo di Rick Alverson e riconfermo quanto la sua mano sia affine al mio spirito.

    Lui è un maestro nel raccontare la solitudine,il sentirsi diversi,staccati (e magari schiacciati da un mondo che non è affine a te,o che non vuole esserlo.) Ed ecco che allora colmiamo questo divario/vuoto in bicchieri pieni di odio e repressione come fa il nostro protagonista.
    Abbiamo visto tanti Film coming-of age /sull'accettazione di se stessi e questo in un modo tutto suo, mi ha fatto pensare a questo tema,ma all'inverso. Lui sembra uno di quegli uomini non cresciuti,bambini intrappolati nel corpo di adulti.Ma non come il protagonista di The Virgin Moutain, l'opposto,(potrebbe essere l'alter ego).O Come avrebbe detto mio nonno:" E' Uno di quei bambini che ha ricevuto poche caramelle".
    Lui è aspro e non lo accetta e come i bambini che dicono:'è colpa sua se sono caduto'e poi piangono, lui accusa gli spettatori.E' colpa vostra se non ridete,se non capite(o se non MI capite?)ma non piange.
    Lui il pianto lo terrà dentro al cuore.Fino a che questo non si inzupperà a tal punto che sarà troppo pesante da portarlo con se.
    Allora lo strizzerà,come si fa con lo straccio,e tutte quelle lacrime accumulate le farà uscire tramite pernacchie.(Scena tremendamente bella).
    E lo farà proprio durante il suo show, sul placo, quel palco che ogni volta gli farà sudare rabbia,ma una rabbia ovattata,piena tristezza e fragilità.
    Perché sì, nei suoi occhi,coperti da quella maschera composta da spessi occhiali e gelatina,o da quel cappellino
    color"gialloHeysonoqui!",vedo tanta delicatezza,come in quello sguardo di notte, steso sul letto dopo la telefonata.
    (A proposito, da pelle d'oca la voce prima stridula e poi profonda al telefono).
    Lui è testardo,va avanti per il suo tour, lo deve finire(magari è l'ultima promessa fatta a qualcuno). Ma è tutto piatto,smorto,come le strade deserte che percorre.Sempre dritte senza mai una curva.Basterebbe deviare, andare sullo sterrato e andare via, ma lui non lo fa.
    Si ferma soltanto una volta, di notte, con la macchina in mezzo al niente...
    E allora qui mi viene in mente altro...
    Una storia tragica.Un dover elaborare un lutto,una perdita incolmabile.L'aver perso forse l'unica persona che ti capiva che rideva con te.Un anima simile alla tua,perché era parte della tua.
    Risuona quella risata,piccola, minuscola,al tavolo con il messicano,ma capace di far tremare il cuore dello spettatore e allora mi chiedo:
    Whyyy
    Whyyy
    Whyyy no one whispers to him:'I understand you ?'
    Perchè molte volte basterebbe un abbraccio e sentirsi dire:'ti capisco'.

    Ps:Grazie ancora per la disponibilità di oggi con le t-shirt :)


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    1. dopo un commento così da brividi ad un film che sento dentro il mio cuore come questo ora rifletto se dartene una gratis

      non dico altro, non c'è bisogno

      grazie

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  3. hahah nono
    Grazie a te che altrimenti senza il guardaroba sarebbe difficilissimo trovare questi gioielli.

    Comunque l'altro giorno dopo aver visto tenet uscito dalla sala per la confusione che avevo mi è venuta in mente soltanto una domanda: ma se lui(Entertainment)avesse avuto il super aggeggio per distruggere tutto, che farebbe? hahah
    Comunque(x2) ho visto che hai scritto le rece di tenet e Gretel e Hansel me le vado a sbirciare. :)

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    1. più che altro tutti noi vorremmo un tempo palindromo per poter cancellare i nostri errori ed evitare le nostre perdite

      ma, come insegna Tenet, quel che è successo è successo, e quindi bisogna solo sperare di rimediare o di imparare dai dolori

      distruggere tutto non vale la pena, mai

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao