16.10.21

Recensione: "A Chiara"

 

A Chiara è un film meraviglioso.
Un film che ho amato dalla prima all'ultima inquadratura.
Scrittura di rara sensibilità, regia pazzesca, personaggi che ti restano dentro, tematiche fortissime.
E lei, lei, è così grande da non crederci.
Cinema di sguardi, di cose dette e non dette, di persone che sbagliano ma sanno anche amare.
La storia di una 15enne che scopre qualcosa del padre che non sapeva.
La storia di una ragazzina fortissima, ossessionata dalla verità.
Carpignano ha qualcosa nello sguardo e nella scrittura che hanno davvero in pochi.
Carpignano conosce la potenza massima delle cose minime


Scrivo (quasi) sempre mettendo l'emozione davanti a tutto il resto ma a volte capitano film come questi - in cui dal primo fotogramma all'ultimo sei come incantato - e allora le cose si fanno ancora più difficili.
Perchè film come A Chiara li sento talmente miei, talmente "perfetti", che poi parlarne con un minimo di oggettività - io che l'oggettività già ne ho poca di mio - diventa impresa quasi impossibile.
Ho adorato questo film (primo che vedo di Carpignano che, lo dico subito, per me è un mostro) dal suo primo istante all'ultimo. 
Ho adorato la regia, ho adorato la scrittura, ho adorato i personaggi, ho adorato i volti, ho adorato il messaggio, ho adorato gli sguardi, ho adorato il manifesto e il non detto.
A Chiara, semplicemente, è un film magnifico.
La cosa più impressionante, in un film di due ore poi, è il non avere nemmeno 5 minuti di stanca, possedere un ritmo narrativo ed emotivo che mai si placa, tenerti con sè, sempre.

L'incipit è formidabile.
Sembra di stare vedendo un film Dogma, sembra di trovarci davanti al Trier di Melancholia (che ok, Dogma non era del tutto ma in alcuni aspetti sì) o, soprattutto, al Vintenberg di Festen.


Siamo ad una festa di compleanno, la macchina da presa si muove senza sosta, nervosa, sporca, apparentemente in modo casuale ma con, invece, una maestria spaventosa. Vediamo volti, sentiamo discorsi, la gente si alza, sta seduta, festeggia, in 20 minuti vorticosi che sono una specie di centrifuga. E Carpignano dimostra già in questa centrifuga di avere qualcosa che non tanti registi hanno, ovvero quella sensibilità massima delle cose minime.
Questi primi 20 minuti sono 20 minuti in cui, continuamente, vediamo lo sguardo di una figlia cercare suo padre, e quegli sguardi, se uno li coglie, sono già la certezza di che razza di scrittura abbiamo, sono quegli aspetti minimi (ma basilari) che vanno intravisti nella santabarbara di urla, musica e volti.
Tanto che questo ho pensato all'inizio, questo sarà un film su un solo aspetto, su una figlia che cerca disperatamente con lo sguardo il padre (poi, per plot, il film andrà altrove).
Poi siamo a tavola, e anche qui la sensibilità di Carpignano è massima nel raccontare, in modo vergognosamente perfetto, questo padre amorevole che però no, non riesce ad alzarsi, non riesce a fare il discorso. E però dice all'altra figlia quanto la ama e i due si abbracciano e piangono mentre il resto del mondo festeggia. Madonna mia.
E poi la gara di ballo che diventa quasi - ancora - gara di sguardi. Abbiamo due personaggi che quasi non si sono mai parlati tra loro, il padre e la magnifica Chiara, e solo con tutti questi sguardi abbiamo un rapporto, abbiamo una storia, è come se conoscessimo tutto quello che c'è tra loro, l'amore, i sospetti, la paura, la gelosia. Chiara cerca sempre il padre perchè, forse, ha capito che c'è qualcosa nella vita del genitore che lei non conosce. Lo cerca perchè è gelosa di lui e perchè qualcosa le sfugge. 
Poi, scoprirà cosa.
E inizierà a capirlo in altre due sequenze pazzesche girate da Carpignano, due scene quasi identiche a metà tra realtà e sogno (tremendamente reali ma inquietantemente oniriche), di cui una in un magnifico piano sequenza.
Carpignano sta sempre addosso alla sua splendida protagonista, come fosse l'Aronofsky di madre!, di The Wrestler, de Il Cigno Nero.
La segue, la pedina, la precede, le sta accanto, sempre.
E in quel piano sequenza ci sono 5 minuti di cinema altissimo, c'è l'attrice, c'è la regia, c'è l'atmosfera, c'è la colonna sonora, c'è la storia, sembrano quasi sequenze di un cinema d'orrore colto, coltissimo, e in realtà è solo una telecamera che segue una ragazzina.
E quella ragazzina, perchè prima o poi dovevamo arrivarci, è Swamy Rotolo, una giovane attrice che tira fuori un'interpretazione che mette i brividi, straordinaria, indimenticabile.
Il suo volto è per 90 minuti dei 120 totali davanti alla telecamera, roba che riesce solo ai grandi. Eppure lei è grandiosa, sempre, lo è quando parla, lo è quando tace, lo è quando agisce, lo è quando osserva, lo è quando ride, lo è quando piange, lo è quando spera e quando si dispera.
Non tutti gli altri attori (forse solo Claudio Rotolo, il padre) riescono a restare al suo livello (ma, dio mio, è roba per pochi) ma tanto, diciamocelo, il film è lei.
O forse non è vero, il film è tanto altro, il film è un magnifico spaccato di vita vera, mostrata così com'è, con umanità commovente. Il film non giudica, non condanna, il film mostra.
E ti fa vedere come un padre contrabbandiere di droga possa essere, almeno a livello affettivo, un padre meraviglioso. E ti fa vedere come la criminalità sia brutta e cattiva, vero, ma molto spesso figlia di degrado e di sopravvivenza. Non ci sono mostri in A Chiara, ci sono tanti uomini che sbagliano, e che sbagliano tanto, ma che non per questo sono esseri per forza inumani.
E' un film dove a volte sono i rumori a nascondere la verità, il rumore di una radio ad altissimo volume o quello di una caffettiera, tutto frastuono che deve celare qualcosa. O c'è anche un altro rumore fortissimo, quello del tapis roulant (bello e simbolico che poi, ad Urbino, Chiara correrà fuori, all'aria aperta e nel silenzio, quasi contrapposta a quel correre da ferma e nel casino in cui era costretta in Calabria).
 Il film prosegue, sembra a volte di ritrovarci in un gemello forse anche più bello del già bellissimo Sicalian Ghost Story, due film delicati, pieni di grazia, al confine con l'onirico, per raccontarci però cose brutte e reali.
Chiara troverà il nascondiglio, la botola, e questo film diventerà quasi paradossale, il film dove una figlia cercherà più volte quel nascondiglio per nascondere sè stessa, quel nascondiglio che invece doveva accogliere il padre. Dovrebbe odiarla quella botola, perchè simbolo di un qualcosa che lei del padre odia. Eppure diventa quasi una sorta di placenta paterna, se mai in questa vita può esisterne una.
Ci saranno due sconti bellissimi, uno con la madre e uno con la sorella.
Ci sarà una vicenda laterale con una giovane rom, forse unica parte del film leggermente fuori fuoco, non perchè mal raccontata ma perchè evidentemente strumentale (servirà alla scena del petardo e, conseguentemente, all'intervento dei servizi sociali).
Ci sarà un piccolo cross over con "a ciambra" (non ho visto ancora quel film ma è evidente il rimando).
E poi finalmente la fortissima Chiara piange, piange quando sa che dovrà andar via. E anche qui avremo in montaggio alternato un'altra sequenza da brivido, il giudice che parla, Chiara che saluta una famiglia silenziosa e raccolta.



Poi l'inevitabile incontro col padre.
Padre che a questo punto non ha più niente da nascondere e che, anzi, decide di mostrarsi completamente.
Chiara vedrà il "lavoro" del padre, Chiara starà sempre lì in silenzio (non una sola parola per mezz'ora), Chiara osserverà.
Quello che vedrà è sì brutto ma non tanto brutto come quello di cui aveva paura ("tu papà ammazzi le persone?").
Ci immaginiamo che forse il film terminerà con una ragazzina che ama talmente tanto il padre da, magari seguirne le orme.
E invece avremo una ellisse temporale, senza nessun preavviso, senza nessuna costruzione
Chiara ha deciso di andare ad Urbino.
Ha deciso di andarsene via, ha capito che lì non poteva restare, ha capito che non era più al sicuro.
Una ragazzina di gigantesca maturità. Una ragazzina che adora la famiglia, che era radicata lì, che aveva amiche magnifiche, sorelle magnifiche (la scena in cui incontra la sorellina e si parlano sussurrando è pazzesca) e tanta serenità nella sua terra.
Ma che ha scelto di andarsene.
E in una scrittura circolare pazzesca avremo un'altra festa di compleanno.
Questa volta è di Chiara stessa.
I volti intorno sono quelli di una nuova famiglia.
L'atmosfera è la stessa perchè la gioia non ha regioni.
La nuova sorella di Chiara le legge un discorso.
Chiara la guarda divertita ma poi ad un certo punto il suo sguardo, quando sente alcune parole, si perde, il suo volto si contrae.
Sono righe bellissime ma che le fanno anche male.
Ma Chiara è forte, il suo volto si contrae ma resiste.
Torna a casa e nello specchio c'è il fantasma della sua famiglia, un fantasma che mai più se ne andrà.
Ma voglio tornare a pochi minuti prima, voglio di nuovo infilarmi in quella festa.
Si alzano i calici, c'è una ragazza da festeggiare.
"A Chiara!"
gridano gli invitati.
E noi vorremmo esser là.
Vorremmo anche noi alzare un calice a sta meraviglia de adolescente.
Questo è il mio calice.
"A Chiara"


9 commenti:

  1. Bellissima recensione. Voglio solo aggiungere 2 scene che riguardano il cugino e che mi sono piaciute. La prima quando le chiede se vuole un caffè (la volta precedente le aveva proposto latte e biscotti); la seconda quando in macchina le parla di Urbino e di Raffaello probabilmente cercando di convincerla ad andare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Hai super ragione ;)

      tra l'altro rispetto a ste due cose che dici aggiungo due curioistà

      la prima che anhce il padre quando si vedono nel bunker le offre una sigaretta (a conferma che ormai la famiglia la vede come una "donna")

      la seconda è che nella festa finale si vede nel muro un ritratto di Raffaello ;)

      Elimina
  2. Ci sono due film in A Chiara, fatto di momenti quasi documentaristici, tagli rozzi, orchestrazione d'insieme, il gioco di sguardi che menzioni tu. L'altro film è atmosferico, metaforico, simbolico, più preoccupato di esplicitare i vari temi che lo percorrono. Non faccio mistero di aver preferito il primo film, così libero e slegato da ogni necessità dichiarativa, in cui le dimensioni più sociologiche emergono senza forzature solo dalla forza delle performance e dalla spontaneità della messinscena. A questa spontaneità però si affianca una narrazione un po' statica (soprattutto nella seconda parte), di cui forse si poteva fare a meno del tutto e che sconta il problema alla base di tanto cinema di questo genere, ossia "come concilio la necessità drammaturgica con la descrizione di una realtà così vera e dolorosa?" Alla fine si fa un buon compromesso, ma ho avvertito un po' di fatica, anche se riscattata in gran parte nel finale. Poi non ho apprezzato molto la funzione nel film degli assistenti sociali (probabilmente non ho esperienze sufficienti a riguardo per esprimere giudizi, ma per me mostrare un'assistente sociale che dice apertamente cose come "questa ragazzina è un pericolo per la società" mi è sembrata un'esagerazione calcolata messa là per necessità narrative e tematiche, un'escamotage che un po' impoverisce il mondo contraddittorio e complesso che il film vuole rappresentare). Al netto di questi aspetti che mi hanno fatto storcere il naso, A chiara però ha una potenza innegabile e uno sguardo personale e non filtrato che non è sempre facile trovare, e mi ha messo molta curiosità di recuperare gli altri due film della trilogia, ho come il sospetto che la potenza di A Chiara potrebbe emergere anche maggiore con una visione d'insieme

    RispondiElimina
    Risposte
    1. interessantissimo!

      Intanto, ma lo avrai visto, io invece ste sfumature oniriche o comunque in una specie di "dormiveglia" le adoro, non fanno uscire il film dal suo essere quasi documentaristico ma gli danno un'aura stranissima, densa, che amo tanto tanto

      Molto interessante anche la tua annotazione sull'assistente sociale. Anche secondo me dovrebbero essere (sono) meno espliciti, meno teatrali o diretti. Ma non escludo che in molti casi invece tirino fuori considerazioni di questo tipo. Forse sono dialoghi per accorciare un pò i tempi, giustificare le azioni di poi

      Per me resta il miglior film visto in sala quest'anno per ora (insomma, credo mi sia piaciuto due spanne più che a te) ma, pensa, mi hanno detto che A Ciambra forse è pure meglio

      quindi sì, recuperiamoli ;)

      Elimina
  3. Su questo piccolo capolavoro non potrei mai aggiungere nulla, me ne hai impreziosito la lettura. Ma guardando questo film continuava a tornarmi in mente Anime nere, che avevo visto molto tempo fa. Allora ho dovuto rivederlo (e ho fatto bene) per capire meglio cosa mi fosse passato nella testa. Quando si ama il cinema non c’è niente di più bello che capire un film evocando un altro film.
    A Chiara e Anime nere sono due opere assolutamente sovrapponibili nell'essenza di ciò che rappresentano, ognuna a modo suo. A Chiara ci mostra la storia dall'interno, in ogni fotogramma scova l’anima di un volto che condensa tutto ciò che accade intorno; da quell'intensità' straziante e meravigliosa siamo ammaliati e non ci serve altro. In Anime nere sono protagonisti i fatti e i personaggi li percorrono come il destino cui obbediscono. Ma sono due film che, sebbene di autori diversi, snocciolano lo stesso teorema partendo dalle medesime premesse: vicenda familiare nell'ambiente 'ndranghetista calabrese, mercato della droga nel deserto di qualunque altra economia, padri e un figli che si scontrano sugli assurdi principi imposti dal “sangue”. Di differenze in realtà ce ne sono e anche sostanziali, ma non per quanto riguarda il tema fondante, perché è lì che io vedo addensarsi il senso e il motivo stesso per cui due autori hanno deciso di raccontare queste storie, proprio in questo modo. Entrambe entrano nella famiglia, il clan, visti solo secondariamente come elemento di gestione degli "affari", ma piuttosto come luogo di relazioni e conflitti. "Famiglia" per noi non è la stessa cosa; qui parliamo di una sedimentazione storica e antropologica la cui forza del retaggio è il tema; e quel tema qui diventa lo scontro tra genitori e figli sul “sangue del sangue”, generato e versato con la stessa continuità; legame viscerale e morte. Ma lo scontro tra padri e figli che riconduce e adatta quel conflitto territoriale alla dimensione familiare, vale la stessa schiavitù; non a caso i due autori ci raccontano lo stesso entroterra mafioso in cui due "ribellioni" avvengono per lo stesso motivo, anche se si invertono gli interpreti: perché il teorema ci rivela anche che cambiando l'ordine dei ruoli il risultato non cambia: una figlia non accetta che il padre (che è tutto il suo mondo affettivo) sia legato al crimine 'ndranghetista e un figlio che in quell'avventura vuole gettarsi impavido per sentirsi finalmente uomo; ma qui è il padre a non accettare che il figlio cada nel suo destino miserabile. Due persone che si oppongono a una realtà comunemente accettata e vissuta l'unica possibile: proprio come la famiglia in cui si viene al mondo. E chi rifiuta il mondo così com'è si scontra con chi invece ne incarna il modello, pur essendo quanto ha di più caro. Sono due persone tradite. In entrambi i film è mostrata l'inutilità' della ribellione e del conflitto che ne segue: perché la ribellione stessa perpetua ciò a cui intenderebbe ribellarsi e cioè il conflitto familiare. Questo è il teorema e paradosso. Le conclusioni si sovrappongono, ciò che ha attirato la mia attenzione. E, sebbene con epiloghi narrativi differenti, il corollario non può che essere la rottura risolutiva del legame familiare a qualunque costo, in un sacrificio estremo che trascende ed elimina ogni conflitto. In A Chiara la separazione della figlia dal padre (in una famiglia altra, venendo così risolto il legame di sangue) è sacrificio che avviene in modo salvifico (perché in un contesto di ordine superiore lo Stato si fa paternamente carico del suo ruolo nella persona di un magistrato che individua l'origine del male); in Anime nere un padre (che rifiuta la brutalità, ma ne rimane radicato al contesto) quel legame familiare recide nello stesso sacrificio di cui è stato vittima; “a qualunque costo”, appunto. Ma lo recide. E anche qui, il “sangue del sangue”, non sarà più.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Guarda, io non leggo mai manco una riga su film che non ho visto ma la tua scrittura è talmente piacevole che non ho resistito, ahah
      (tra l'altro anche io adoro, e lo faccio sempre, trovare dei rimandi tra film e film. Anche se la gente a volte non mi capisce e mi dice "come OSI paragonare quel film a quell'altro? ecco, non è un paragone, è un rimando...)

      madonna che bel pezzo Nicola...
      Assolutamente, da come scrivi il canovaccio, lo scheletro, è similissimo, anche se raccontato, nell'ottica genitoriale o filiale, all'opposto

      tra l'altro mentre leggevo le tue righe di Anime Nere mi son venuti - a proposito di rimandi - dei flash su altri film che raccontano di padri che tentano in tutti i modi (o sperano soltanto) che il figlio non ricalchi le sue orme criminali,forse proprio italiani e forse sempre in mezzo alle mafie, ci penso ;)

      comunque di Anime sempre sentito parlare benissimo

      come proprio ieri un mio amico mi ha parlato benissimo (per lui siamo sui livelli di A Chiara) di un altro piccolo film italiano appena uscito, Una Femmina

      speriamo di vederlo!

      Elimina
  4. Aggiungo, questi sono innanzitutto film sulla possibilità e la capacità di cambiare, il prezzo di certi legami è sempre fatale; perché fatale è la loro natura. “Chiara” viene illuminata sì dall’opportunità che le viene offerta, ma anche infine dalla sua accettazione del cambiamento; nella famiglia di Chiara c’è un amore che trascende il dramma delle vicende: i legami sono salvi (elemento che ometto di ribadire nel mio commento) e Chiara li porterà con se facendone la forza di essere ancora se stessa, ma questa volta altrove (e quel distacco dalle proprie origini quanto mi ricorda il bellissimo finale di “House”!): il lieto fine qui è la proiezione del rapporto puro con suo padre che rischiarerà ogni ombra sul suo cammino. “Anime nere” – al contrario – si svolge nel cono d’ombra di rapporti che un padre non ha avuto la forza di ripudiare fino in fondo (visto che qui era lui che ne vedeva l’anima perversa) e l’obbedienza del figlio alla legge del sangue – che qui ha la forza del mito - prefigura già la spirale della tragedia, ne evoca il “topos”. Tutto è perduto e l’ebbrezza accecante dell’odio agisce infine come un sacrificio purificatore. A Chiara è tutto quanto ci separa dalla tragedia, il superamento de dionisiaco quando questo tradisce il suo slancio vitale per diventare autodistruttivo; questo ha un valore persino maggiore della sua bellezza.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Un pochino ricordano anche Animal Kingdom (film australiano bellissimo, se non l'hai visto consiglio).
      Sì, bravo, A Chiara è un gran film anche perchè racconta una faccenda scomoda, ovvero quando anche nella criminalità ci possono essere famiglia che sanno darsi amore. Un padre malavitoso è de facto un padre che non sa dare amore? no, al massimo è un esempio sbagliato (e la trasmissione di amore o dei valori sono due cose molto diverse)

      E, contrapposto ad Anime Nere (ma già il titolo lo dice no?) A Chiara ha un altro coraggio, essere un film "positivo", cosa che in certe sceneggiature non capita quasi mai. A Chiara regala speranza, insegnamenti, riflessioni, senza mai darci il terrore, anche da spettatori, di finire in una spirale

      era solo per dirti quanto sono d'accordo con le tue parole, ovviamente superiori alle mie ;)

      Elimina

due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao