29.4.22

Recensione: "Irreversible" - Passeggiate, il cinema della poesia - 21 - di Roberto Flauto

 

Dopo tantissimo tempo (ma la colpa è mia, Roberto mi ha mandato materiale da mesi) torna la rubrica esterna più longeva del blog, quella delle recensioni di Roberto, sempre al limite della sperimentazione di scrittura.
Torna con un film (che incredibilmente non ho ancora visto) di uno dei miei registi preferiti, Gaspar Noè.
Due righe di presentazione di Roberto e poi la recensione.

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Eros e thanatos.
Amore e violenza.
Sesso e sangue.
Vita e morte.

Film duro, crudo, doloroso.
Impossibile restare impassibili.
Travolgente dalla fine all’inizio.
Recitato benissimo, girato e montato splendidamente.
Film ossessivo, prepotente, passionale.
Impossibile da dimenticare.


Perché il bello non è che il tremendo al suo inizio.
(Rainer Maria Rilke)


Una storia, una notte, piani sequenza, piani d’azione, piani di evasione dalla vita, che è e resta un dono/male/sogno/malattia irreversibile.

Perché la vita non ha un contrario.
Per questo non riusciamo a capirla, a comprenderne il motivo.
Per questo ci affanniamo alla ricerca di un senso, costruendo e inventando significati.
La morte è il contrario della nascita, non della vita.
Che resta insondabile, misteriosa, incomprensibile.
E per questo è terrificante, per questo è meravigliosa.
E siamo preda di dubbi, incertezze e paure.
E siamo predatori di sogni, desideri e passioni.

Perché la storia è una macelleria.
Un’anonima fossa comune di uomini e donne e niente.
Ed è tutta scritta con il sangue e con lo sperma.

Perché il mistero che ci abita si espande più velocemente del mistero che abitiamo.

Perché nessuno è innocente.

Perché il dolore fa meno paura del piacere.

Perché danziamo bendati sull’orlo di quell’abisso insaziabile che chiamiamo cuore, e non facciamo altro che strapparlo a morsi.

Perché siamo estinzione e salvezza.
E non sappiamo distinguerle.

Perché quella notte, quelle labbra che non hai baciato, quel sospiro che hai trattenuto, quel pomeriggio bagnato da una pioggia di fiori, quel libro, quel prato, quella volta che lei disegnava il futuro sulla tua schiena, di notte, con le dita sporche di amore e di sesso. Perché quella strada, quella scelta, quel desiderio, quel sole stanco, quei giorni, quell’assordante assenza, quell’orgoglio, quell’inesprimibile sensazione di felicità che ti sei affrettato a soffocare, perché il tuo più grande desiderio è sempre stato quello di avere un alibi. Perché non vuoi essere felice: la felicità ti costringe a metterti in gioco. Preferisci avere un motivo di infelicità: vedete, non è colpa mia. Questo è ciò che desideri davvero. Patetico. Umano. Come chiunque. Come me. Perché quella notte, in quel buio, lontano da lei, hai capito che le cose a un certo punto di spezzano.

Perché il mondo – malgrado, nonostante e grazie all’uomo – è caos, dispersione, guerra, fame, disordine, distruzione, follia, incubo, assurdità, notte profondissima. E al tempo stesso, per le stesse ragioni, grazie a sapiens, è armonia, dialogo, incontro, comprensione, stupore, meraviglia, gioco, dolcezza, infinità, luce senza fine.

Perché non abbiamo ancora imparato a nascere.

Perché l’uomo è un animale che parla.

Perché esiste qualsiasi cosa, compreso l’inesistente.

Perché la poesia comincia con un selvaggio battere di tamburi nella giungla.

Perché la memoria, l’identità, il futuro, l’amore, la morte, la vita, ogni cosa: sono storie.
Noi siamo storie. Parole. Racconti. Tutto è narrazione.

Perché l’origine del mondo, di ogni mondo, è esattamente quella dipinta da Coubert.

Perché il tempo distrugge tutto.

Perché siamo armonie di opposti.
Coltiviamo contraddizioni.
E ogni nostro saluto è sempre un addio.
È sempre un adesso, un mai, un altrove, un qui.

Perché il tempo crea tutto.
E il mondo è il tempo.
“In quale momento Dio ha creato il mondo?”,
si chiede Agostino.
“In nessun momento, giacché la creazione del mondo è quella del tempo”.
Così si rispondeva.
È una dimensione dalla quale non possiamo astrarci.

Ma il tempo distrugge tutto, annienta ogni cosa.
Desertifica e punisce.
Ma il tempo crea tutto, genera ogni cosa.
Cementifica e lenisce.

Perché ogni pace si conclude in guerra.

Perché non esiste eros senza thanatos.

Perché ognuno distrugge ciò che ama.

Perché l’infelicità della persona amata lacera dentro.
Il suo sorriso, il suo volto tumefatto, la vita in frantumi.

Perché l’unica certezza che abbiamo nella vita è la scelta. Anche la scelta del dubbio. E l’esistenza della morte, dispositivo generato dalla natura come “strumento” evolutivo, è ciò che ci permette di vivere appieno l’esistenza della vita. Perché il tempo sta scadendo. Perché tutto è in tempesta.

Perché fin dai primordi dell’universo vi è al contempo conflitto e complementarietà tra ciò che disgiunge, separa, distrugge, annienta, e ciò che unisce, aggrega, congiunge, crea.

Perché certe azioni sono irreparabili.

Perché siamo in grado di pronunciare l’indicibile.

Perché siamo, contemporaneamente, pittore, tela e paesaggio.

Perché la nascita è un atto di violenza, è una catastrofe in senso matematico, è morfogenesi, è ridefinizione identitaria, trauma, distruzione. Perché non si può che nascere tra lacrime, urla e scie di sangue.

Perché ogni fine è un inizio.

Perché ogni inizio segna una fine.

Perché i concetti di creazione e distruzione sono inestricabilmente interconnessi, avviluppati in una danza di radicale bellezza, di profonda disperazione.

Perché la società esiste in natura, l’individuo no.

Perché il desiderio di vendetta è un’invenzione del cuore umano, che si illude di riparare l’insanabile, di riportare indietro le lancette del mondo, di soffocare il dolore, di saziare il vuoto con il dolore altrui.

Perché l’amore brucia.

Perché d’amore si muore, ma io vedo la gente viva.

Perché malgrado ogni tramonto sia gravido di promesse e ogni carezza ammorbidisca la realtà, continuiamo ad addormentarci e insistiamo a sentirci perduti.

Perché creare, far nascere, generare: vuol dire separazione.

Perché distruggere, annientare, estinguere: vuol dire unione.

Perché ogni equilibrio si regge sull’ipotesi della sua rottura.

Perché la bellezza è un fenomeno umano, non appartiene a nessun’altra specie. Come l’orrore.

Perché possono accadere un miliardo di cose in un attimo di ciglia, in un battito di meraviglia.

Perché ci sono oscurità impenetrabili che annientano e travolgono tutto con una potenza devastante.
La maggior parte sono dentro di noi.

Perché il sesso è quanto di più bello possa esserci.
Ma è anche un’arma che lacera ogni cosa.

Perché la disperazione ottenebra la mente e confonde la percezione del reale in modo brutale e spietato. Quasi come innamorarsi.

Perché alla base di ogni conoscenza umana vi è un atto di fede.

Perché ci sono momenti che contengono tutta la vita.
E ci sono vite che durano solo un momento.

Perché il senso di colpa genera mostri e buchi neri.

Perché si può morire per carenza di universo.

Perché si può morire per eccesso di universo.

Perché l’ossessione e la possessione sono gli ingredienti fondamentali dell’agire poetico, ma basta un niente di niente per precipitare nel patologico, nel baratro della mediocrità, nel vuoto pneumatico.

Perché chiunque.

Perché adesso.

Perché l’umano è la misura di tutte le cose.

Perché un giorno questi giorni saranno quei giorni.

Perché il passato è in continua evoluzione.

Perché, per quanto ci sforziamo, malgrado l’esperienza, gli annunci, gli avvertimenti, le rivelazioni, i miracoli e le premonizioni, non siamo in grado di cambiare il futuro.

Perché abbiamo la bocca piena di già detto, gli occhi colmi di già visto, le mani sanguinanti di già fatto.

Perché niente è puntuale come il troppo tardi.

Perché il tempo distrugge tutto e crea tutto.

Perché il tempo rivela ogni cosa.
Il peggio e il meglio.
Vita e morte.
Amore.
Buio.


Irreversible è un film ossessivo, compulsivo, assordante, disturbante, forte come una mano che ti tappa la bocca mentre sogni. È la storia di Alex e Marcus, coppia giovane e bella, e del loro amico Pierre, ex di Alex. È la storia di una violenza efferata, insostenibile, consumata in un sottopassaggio immerso in un rosso pompeano che richiama il sangue della storia, degli altari, delle eclissi. È la storia frammentata del processo di frammentazione della vita di Alex, di Marcus e di Pierre. Di quella notte tremenda e disperata, della caccia all’uomo, della violenza e della perversione umana, che non conoscono limiti. È la storia di un cortocircuito esistenziale, che innesca un fuoco accecante e brutale: quello della vendetta. È una storia di corpi, di mani che si cercano, di sesso inteso come interfaccia con il mondo, come strumento di comunicazione del sé, come punizione, come arma, come vicolo cieco in cui perdersi.

E noi veniamo continuamente schiaffeggiati, senza una rotta precisa, in balia di una tempesta emotiva fin da subito travolgente, da una macchina da presa che fluttua e rincorre i volti e i gesti dei personaggi. È passato un secondo: siamo già dentro il ciclone, siamo già alla deriva. Lunghi piani sequenza si susseguono, si intrecciano, si rincorrono, costruendo una narrazione che per essere compresa appieno deve essere letta a ritroso. Quello che dobbiamo compiere, cioè, è un viaggio nel tempo. In quel tempo che distrugge tutto, che scorre inesorabile: è quindi un viaggio insostenibile, illusorio, perché il tempo, in qualunque direzione scorra, è sempre avanti a noi, o dietro, ma non siamo mai al posto giusto al momento giusto con la persona giusta. Il vortice di Noè ci avviluppa, come una ragnatela di metallo bollente, e non ci lascia più andare.

Il film parte dalla fine e finisce con l’inizio. In mezzo, come sempre, soltanto scelte. La narrazione è sincopata, il ritmo è martellante, il cuore accelera e rallenta, il sangue ribolle e si ghiaccia, la musica è ossessiva, assillante, stordente. Irreversible è una discesa nell’abisso dell’uomo, nel suo cuore affollato di fantasmi di ogni tipo; è un viaggio lungo i sentieri che da esso si irradiano, e che inevitabilmente conducono ovunque. Nel sublime più puro e nell’orrore più atroce.

C’è una festa. Marcus è strafatto, Alex decide di tornare a casa da sola. Attraversa quel sottopassaggio. Luci rosse, cupe, un’atmosfera che richiama, al contempo, la dimensione primigenia, uterina, e quindi generativa, di calore e sicurezza, ma anche quella della distruzione violenta, distruttiva, omicida. E qui Noè ci sbatte in faccia un lungo piano sequenza, minuti e minuti di uno stupro brutale, feroce, insopportabile. E l’uomo che poi si accanisce su di lei, picchiandola e massacrandola di botte, riducendola in fin di vita. E poi la storia degenera: Marcus e Pierre partono per una tormentata e lunga caccia all’uomo, tra le strade di una città immersa nella notte più oscura di sempre, fino a giungere in un night club per omosessuali, dove si consumano orge e dove sembrano realizzarsi le fantasie più perverse. È questa la tana dell’orco. Lo trovano, lo affrontano. L’atmosfera è satura di follia, di violenza, di sete di vendetta. E poi Pierre che afferra un estintore, e colpisce il volto di quest’uomo, più e più volte, maciullandolo, in un’altra scena di sofferenza devastante, di rabbia, di sgomento, di angoscia, di inferno. Ma è l’uomo sbagliato.

È solo l’inizio del film, ma è in realtà la fine della storia. Ma ancora prima del vortice che ci proietta all’interno del night, ci sono due uomini che parlano, in una stanza spoglia, uno dei due confessa di essere stato in carcere per aver stuprato sua figlia. Il sesso è il filo conduttore di ogni gesto, di ogni pensiero, di ogni individuo. Il sesso come espressione della passione amorosa, e il sesso come manifestazione della volontà di umiliare, punire e uccidere. In una cornice temporale che si intreccia continuamente, e noi con lei, prigionieri del nostro cuore che ha paura, perché non sa di cosa è capace.

Irreversible è girato davvero molto bene, montato in maniera splendida, interpretato ottimamente, accompagnato e sorretto da una musica che diviene essa stessa personaggio. È un film che non si dimentica. Lascia il segno. Fino alla fine, che è in realtà l’inizio della storia. Alex è distesa a letto, con le mani che accarezzano il ventre, consapevole di essere incinta. Sulla parete c’è un poster di 2001: Odissea nello spazio. Stacco. Ora Alex è distesa in un prato. L’inquadratura è sottosopra. Il cielo è azzurro e dolcissimo. Luce, alberi, calore, colore, bambini che corrono e giocano. Sta leggendo un libro, An experiment with the time, di un certo John Dunne. Un testo che si interroga sulla natura del tempo, sui sogni premonitori. Nella dimensione del sogno, non esiste tempo, il passato, il presente e il futuro si trovano nello stesso momento, che è qualunque momento, sono (nello) stesso istante, che è eternità. E nella dimensione del sogno non c’è movimento, perché quando sogniamo i muscoli motori sono tutti immobilizzati, cioè in natura noi siamo stati selezionati dal fatto che quando sogniamo non ci possiamo muovere, perché se ci comportassimo in ottemperanza ai dettami del sogno ci saremmo già estinti. Nel libro Dunne dice che i sogni premonitori sono una realtà concreta che deve essere conosciuta, che l’inganno del tempo è avvicinabile, forse risolvibile. Ma le premonizioni non cambiano il corso delle cose. I viaggi nel tempo sono possibili: ma a patto di perdersi. Perché è nel tempo che si definisce ogni cosa, il nostro esserci è l’essere nel tempo. Anche se non siamo in grado di andare al di là dell’attimo in cui siamo. Mentre nel sogno il tempo assume altri significati, che non hanno a che fare con la definizione di identità. Il tempo sfuma ovunque, si intreccia, si arrotola, si inserisce in fluire altri, in un vortice che non lascia scampo, come la macchina da presa di Noè. Che ci scuote fin dentro le viscere più profonde, fino all’ultimo fotogramma. E ci resta dentro. Dopo la violenza, l’abisso, la ferocia, il sesso, l’amore e il cielo blu. Confusa con i battiti del nostro cuore. Con l’amore che ci pulsa nelle vene, e che si estende ben oltre i limiti del nostro corpo, vola verso il cielo, buca l’atmosfera, attraversa le galassie, supera la luce, oltrepassa il cosmo, inverte lo spaziotempo, un altro big bang.
Perché l’amore distrugge tutto.
Perché l’amore nasce ogni cosa.




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