La recensione di Antonio Niola ad un film di Patrice Leconte che ha come protagonista colui che, mai come adesso, viene considerato uno degli attori più importanti della cinematografia europea, Fabrice Luchini
Interessante e raffinata pellicola francese che ho riscoperto dopo quindici anni.
La sceneggiatura è semplicissima:
una ragazza cerca uno psicanalista ma, sbagliando porta, si ritrova nella stanza di un consulente finanziario.
Inizia una fase di apertura interiore della donna che immediatamente risulta interessante agli occhi dell'uomo, tanto dal travolgerlo al punto di impedirgli di chiarire l'equivoco.
Presto però il nostro protagonista maschile, persona austera e morale, svela di non essere il medico e lei risponde con disinvoltura che già lo aveva scoperto.
Questo diventa solo un piccolissimo particolare trascurabile per entrambi: infatti inizia un controverso rapporto tra i due che si comporteranno per tutta la pellicola come se fossero dottore e paziente.
In fondo lei ha bisogno di parlare con una persona che si interessi e l'ascolti, lui è ciò di cui ha bisogno.
Il film segue la sottile danza dei due protagonisti, che si sfiorano, si allontanano, si provocano, si accarezzano, in un continuo scambio di ruoli, come due cuccioli di felino in un delicato combattimento ritualizzato.
La regia è bravissima nell'essere sempre presente eppure discreta, dettagliata ma mai ridondante.
Sceglie di girare perlopiù con camera a spalla praticamente sempre in interno (lo studio del consulente) salvo rare capatine fuori, utili a "dare aria" alla vicenda e rendendola ancora più umana, reale.
Allo stringersi di questo strano rapporto tra i due cambiano in modo delizioso anche le inquadrature, diventando spesso soggettive che "tradiscono" debolezze e sensazioni dei personaggi.
A questo proposito una scena verso il finale è particolarmente esplicativa: lei racconta dettagli piuttosto audaci dell'ultima notte di sesso col marito, la camera soggettiva di lui indugia sul collo della ragazza e sembra accarezzare la donna fino al leggero scollo della camicetta.
Parliamo un po' degli attori, entrambi bravissimi e credibili. Interpretano personaggi caratterizzati ma non stereotipati, si mostrano progressivamente l'un l'altra, così li conosciamo mentre si "spogliano" lentamente degli strati superficiali rivelando le rispettive paure, i rimpianti, le aspettative, i sogni.
Il tutto accade in modo lento, i loro formalismi li fanno erroneamente apparire distaccati (si daranno del "lei" per tutto il film) e, specie per quanto riguarda l'uomo, con atteggiamento autoconservativo.
Non ama parlare di se, a farlo per lui sono le posture, i piccoli rituali, gli oggetti che lo circondano.
Apprendiamo che è nato in quella casa, dove ora fa il lavoro del padre nello studio che era di quest'ultimo, del quale ha ereditato il piccolo mondo senza cambiarlo di un millimetro, abitando la vita di un altro.
Lei invece ci appare solo per ciò che ci vuole far sapere, per come si racconta, è un personaggio meno composto, meno rigoroso, che ha apparentemente meno certezze.
I suoi modi più diretti, seppur riguardosi ed educati, mettono in difficoltà l'uomo, più a suo agio nel ruolo di uditore che in quello di oratore.
Significativi a tal proposito alcuni passaggi, essenziali per la comprensione globale del film.
Lei, guardandolo negli occhi chiede:
"Ma lei indossa sempre la cravatta? È obbligato a farlo?"
Lui, rigido nella postura e pacato: "nnn-no, non sono obbligato"
Lei: "Le da sicurezza..."
Oppure quando lei chiede informazioni su un vecchio quadro appeso nello studio e lui risponde "non lo so, è sempre stato li, da quarant'anni"
Eppure l'uomo, nel suo rigore generale, tradisce alcune debolezze, tipo la mania di collezionare vecchi giocattoli di latta, di quelli a carica meccanica. Li osserva dalla vetrina con calma ma bramosia, li acquista e li scarta, con ritualità e controllata ma evidente gioia infantile. Sembrano ricordargli il bambino che era e forse sono la materializzazione di un rimpianto che, seppur sommerso, alberga nel suo animo.
Molto bello quando lui, che ormai ha realizzato di essersi innamorato, ha la sensazione che alcune persone lo osservino fissamente, con suo chiaro imbarazzo.
Personalmente mi ricorda un bambino che ha rubato una caramella e crede tutti lo stiano guardando, con la paura di essere stato scoperto.
Che sia paura di essere sorpreso ad amare? Che si senta debole e fragile in quel nuovo stato emotivo che sente fuori controllo?
Spero davvero sia così perché sarebbe bellissimo e riuscitissimo.
Chi ha amato sa esattamente cosa vuol dire sentirsi fragili e nudi, dopo essersi spogliati dell'armatura indossata solo dopo essere stati precedentemente feriti.
Se la regia voleva rappresentare questo allora ci è riuscita egregiamente, realizzando una cosa meravigliosa.
Tornando alla sceneggiatura:
lei un giorno si presenta allo studio, dichiara di aver capito cosa desidera dalla sua vita, di aver finalmente ritrovato se stessa e di volersi trasferire.
Lui, appreso che il loro rapporto si interromperà, appare in crisi e, nonostante provi timidamente a protestare, non può nulla contro la decisione della donna.
Si salutano sull'uscio della porta, lei sorride serena e lo ringrazia, lo saluta e lo bacia sulla guancia (unico contatto fisico tra i due fino a quel momento).
Il finale della pellicola è davvero un piccolo capolavoro di regia e sceneggiatura simbolica.
Vediamo lei che fa lezione di danza (vecchia passione giovanile) e viene interrotta dalla segretaria che le consegna un messaggio.
Lei lo legge e appena può si reca con impazienza ad un indirizzo, li ad aprirgli la porta c'è ovviamente lui. Le racconta di averla cercata a lungo e averla trovata ricordando le loro conversazioni iniziali sui luoghi dell'infanzia.
La molla emotiva in lui è scattata quando nello studio è stato ritrovato l'accendino che la ragazza aveva perso (ricordo di un padre mai conosciuto) così l'ha cercata e le ha scritto il biglietto che diceva solo "qualcuno deve ridarti qualcosa" e l'indirizzo.
Lui si era già trasferito nel nuovo posto, dove ha letteralmente trasportato il suo studio, ricreando in modo quasi identico quello della città.
L'uomo appare diverso, rinnovato e senza cravatta, lei si sdraia sul lettino dello studio e lui le siede accanto, mentre un'ampia ripresa dall'alto li mostra chiacchierare felici.
Trovo bello e profondo il fatto che lui, che aveva precedentemente detto di essersi spostato solo una volta in vita sua, abbia trovato il coraggio di cambiare città, abbandonare le sue certezze, dalle quali si è lasciato rassicurare e proteggere passivamente per l'intera vita.
Egli cambia ma non ripudia tutto in un moto istintivo e irrazionale, la sua è invece una mutazione profonda e sofferta, una presa di coscienza iniziata quando la ragazza è entrata nel suo studio e nella sua vita.
L'abbandono del vecchio quadro, della vecchia segretaria, dell'irrinunciabile cravatta e, contemporaneamente, la riproduzione fedele del suo studio originale può rappresentare proprio la razionalità e la profondità del lavoro fatto su se stesso.
È il risultato di un'auto analisi introspettiva che lo ha portato a liberarsi in modo sereno e razionale di una parte di se e del suo passato.
Il fatto che lei si sdrai e lui le sieda accanto, così vicino, indicano una rilassatezza ed una confidenza che è stata costruita per l'intera durata del rapporto ma ha necessitato di tempo, distanza e riflessione per essere raggiunta, infatti, seppur evidentemente legati l'uno all'altra da quel delizioso rapporto, non avevano mai davvero rotto le distanze che li separavano e non avevano mai abbandonato formalismi (sopratutto lui).
L'ultima ripresa dall'alto è l'unica di quel tipo dell'intero film, sembra evidenziare ancor più la differenza del loro nuovo rapporto.
Per tutta la pellicola abbiamo visto due individui, due scacchisti che da dietro i propri bastioni, si allungavano timidamente , prolungando se stessi verso la vita dell'altro.
Sul lettino dell'ultima ripresa non vediamo più due persone che si stanno di fronte, ce ne sono due che si stanno accanto, c'è una coppia.
Ach mi dà fastidio non vedere nessun commento qua sotto; purtroppo non ho visto il film quindi non ho nulla da dire a proposito, ma ne hai fatto una gran bella recensione, è stata una lettura stimolante.
RispondiEliminaMi sa che quello che hai toppato è stata la tempistica, il superclassificone ha rubato ogni attenzione. )
Antonio me l'ha mandata due mesetti fa, dovevo metterla un mesetto dopo l'ultima sua (il segreto del suo volto) ma preso da mille cose, compresi anche tanti altri pezzi esterni, sono andato "lungo" di una ventina di giorni.
EliminaIl problema è che gliel'ho comunicato in mail ma da 3,4 giorni non ne ho notizie, nè qua nè in mail, speriamo se ne accorga.
Però ti devo smentire, i post messi dopo altri post molto visitati sono avvantaggiati, arriva molta più gente nel blog e sono molto più visibili. E' quasi matematico.
Poi sì, forse per i commenti essere dietro ad uno che ne ha tanti in quel modo è un pò peggio, difficilmente un lettore fa un "doppio" commento a due cose di fila.
C?è da dire poi che questo è un film pochissimo sconosciuto, anche quando ne faccio qualcuno io ho 3,4 commenti.
Ma son contentissimo tu abbia commentato, sperando che Antonio si faccia vivo!
ciao Edo
Grazie Edo e grazie Giuseppe.
RispondiEliminaGiusè, scusa ma io davvero non credo di averne ricevuto la notifica, ad ogni modo, poco importa.
Mi capita di recensire film meno noti e sono conscio che non ci saranno tanti commenti.
Non mi interessa, sono felicissimo se anche solo uno si mostra interessato e magari gli viene voglia di vederlo.
Antonio, non puoi aver ricevuto la notifica semplicemente perchè non ti sei accorto che ho messo la rece e non l'hai spuntata ;)
Eliminati ho scritto anche in mail il giorno stesso o quello dopo
ma sì, poco importa alla fine, ciao!