Il documentario su Alberto Manotti, un anziano che da anni si è rifugiato a vivere sull'argine del Po.
Klaverna, il regista, riesce ad evitare la trappola del documentario nudo e crudo (che per limitati spazi e "plot" sarebbe stato troppo ripetitivo) e fa diventare questo Re ad Po qualcosa di molto più grande, una specie di surreale narrazione, tra sogni e strani incontri.
Con un grande, grandissimo, finale.
Perchè la solitudine può anche essere un approdo.
Può anche essere una condizione esistenziale perfetta.
Ma c'è sempre un dolore dietro, c'è sempre una perdita.
chi lo vuole vedere lo richieda a me o a Klaverna@libero.it
, Avevo già incrociato Klaverna (nome d'arte dell'amico Giovanni) con la sua opera prima, quel Paese per nessuno che, seppur imperfetto, mi sembrò un film molto interessante, personale, sentito e necessario.
Klaverna, il regista, riesce ad evitare la trappola del documentario nudo e crudo (che per limitati spazi e "plot" sarebbe stato troppo ripetitivo) e fa diventare questo Re ad Po qualcosa di molto più grande, una specie di surreale narrazione, tra sogni e strani incontri.
Con un grande, grandissimo, finale.
Perchè la solitudine può anche essere un approdo.
Può anche essere una condizione esistenziale perfetta.
Ma c'è sempre un dolore dietro, c'è sempre una perdita.
chi lo vuole vedere lo richieda a me o a Klaverna@libero.it
, Avevo già incrociato Klaverna (nome d'arte dell'amico Giovanni) con la sua opera prima, quel Paese per nessuno che, seppur imperfetto, mi sembrò un film molto interessante, personale, sentito e necessario.
Con questa opera seconda (che avremmo dovuto vedere al raduno ma lui c'ha dato buca) andiamo in un territorio assolutamente (sicuri?) diverso, quello del documentario.
E la storia che ci viene raccontata è quella di Alberto Manotti, il "leggendario" Re del Po, un uomo, ormai anziano, che da anni si è rifugiato a vivere sull'argine del nostro grande fiume.
Klaverna avrebbe potuto affidarsi ad un documentario "nudo" come il nostro protagonista, lasciando parlare per lui solo le immagini (il film fotograficamente è bellissimo), i silenzi, i luoghi e l'Uomo.
Avrebbe potuto non oltrepassare i confini del cinema contemplativo, che basta di per sè. E, invece, realizza un'opera caleidoscopica, che diventa tante cose diverse, quasi narrazione, anche se più narrazione interiore che orizzontale.
E la scommessa, grazie a questa soluzione, è così clamorosamente vinta. Perchè, inutile negarlo, Re ad Po ad un certo punto, quando sembrava solo limitarsi all'osservazione di Alberto e all'enunciazione dei suoi muti monologhi interiori (attraverso sottotitoli, nel film non si dice una parola) stava correndo il rischio, almeno per quanto mi riguarda, di un documentario un pò fermo su sè stesso, eccessivamente ripetitivo e non capace più di cambiare ritmo.
Questo perchè Alberto vive nello spazio ristretto di pochi metri quadrati, tra il fiume e la sua immensa palafitta (il Grande Legno) che ha costruito.
Servivano idee. E ne arriveranno.
Ma del resto già l'incipit, con quella soggettiva, il bianco e nero, la musica straniante e le distorsioni dell'immagine, sembrava più un Evil Dead che un documentario su un vecchio solitario.
Ma che Re ad Po avrebbe potuto regalarci cose inaspettate lo vediamo nel bellissimo capitolo "sogno", davvero notevole, in cui ci viene raccontato l'unico ricordo di Alberto.
E, manco a farlo apposta, è un ricordo opposto alla solitudine e al ritirarsi dalla civiltà d adesso.
Nel luogo simbolo della non solitudine (la cucina di casa) con una donna che lui vede solo di spalle e poi lo scoppio della bombola a gas (simbolo di civiltà).
E Alberto che dopo quello scoppio (nel sogno e basta?) si è poi ritrovato qua, in questo mondo-altro fatto solo di verde, fiume e legna.
Un luogo dal silenzio assordante che viene restituito per quasi tutta la durata del doc da Klaverna attraverso una colonna sonora disturbantissima e assolutamente calzante.
La prima metà del documentario racconta la vita rituale di Alberto, una sorta di via di mezzo tra l'Abrazo de la serpiente e Swiss Army Man (con quella casetta che ne è quasi la copia).
Alberto e il silenzio, Alberto e il fiume, Alberto e la legna che lo stesso fiume gli regala.
Bello, molto bello, il capitolo in cui Alberto si mette quella specie di corona, quasi un autoproclamatasi Signore delle Mosche di un pezzo di terra dove, oltre lui, non c'è nessuno.
Poi c'è un gran bel montaggio velocissimo di lui che martella e il mostrare quelle mani, che non sono dita con calli, ma calli con dita.
Eppure si stava perdendo un pò di ritmo, eppure in almeno un paio di sequenze (le mani sulle orecchie per il rumore e lui che "sfida" il Verde) un pizzico di recitazione la si intravede, e per un documentario così si ha sempre una brutta sensazione, si vorrebbe sempre che niente sia sceneggiato ma, lo si sa, è quasi impossibile.
Poi Re ad Po cambia, diventa surreale, quasi kitsch, emozionante, diverso.
Ne succedono di ogni.
C'è L'Alieno, una specie di reificazione del Verde. Forse una metafora anche dell'Altro, di chiunque venga a visitare il solitario pianeta di Alberto.
C'è il racconto del secondo sogno, quello delle bolle, quasi lirico e, almeno per me, molto emozionante.
C'è la strana sequenza di Alberto allo specchio, forse anche questa recitata ma funzionante.
Ci sono poi le scene di notte che sembrano esser prese di peso da Kill List, lui con quella cosa in testa, il buio, la fiaccola accesa.
E poi c'è lo straordinario finale.
Vedete, Klaverna con questo finale ha rischiato la didascalia in maniera rischiosissima.
A che serviva quel muto dialogo di spiegazione?
Perchè farlo?
E invece, beh, è straordinario.
Intanto per il modo in cui viene realizzato, ovvero quello di dialogo tra il nipote di Alberto (l'unico che ogni tanto va a trovarlo) e il manichino di un Pontiere.
Bellissimo.
Ma quello che più conta è che le quattro frasi che si "diranno" il ragazzo e il manichino non sono didascaliche, non sono pleonastiche, ma in un solo minuto cambiano completamente Re ad Po.
Perchè lo fanno diventare tutt'altro.
E un documentario che era sulla bellezza della solitudine e della fuga dalla società, diventa invece un documentario sul Dolore.
E quel silenzio così esaltato è invece una sordità non richiesta.
Cherchez la femme si diceva una volta.
La genesi dell'espressione ha tutt'altro significato ma possiamo comunque estenderlo.
C'è sempre una donna nella vita di un uomo.
E quasi tutte le solitudini sono in realtà mancanze di lei, di loro.
Quel sogno iniziale probabilmente non era solo un sogno, ma una tragedia immane che ha colpito Alberto.
Che, sordo e solo, si è rifugiato a vivere il suo dolore vicino al Po.
Ma in ogni luogo andremo, in ogni solitudine ci rifugeremo, in qualsiasi stato saremo, tutti noi avremo un nome di donna da scrivere in un cartello.
E lo appenderemo là sopra, dove qualcuno, che siano gli altri, che sia lei o che siamo noi stessi, possiamo volgere lo sguardo per vederlo
Klaverna avrebbe potuto affidarsi ad un documentario "nudo" come il nostro protagonista, lasciando parlare per lui solo le immagini (il film fotograficamente è bellissimo), i silenzi, i luoghi e l'Uomo.
Avrebbe potuto non oltrepassare i confini del cinema contemplativo, che basta di per sè. E, invece, realizza un'opera caleidoscopica, che diventa tante cose diverse, quasi narrazione, anche se più narrazione interiore che orizzontale.
E la scommessa, grazie a questa soluzione, è così clamorosamente vinta. Perchè, inutile negarlo, Re ad Po ad un certo punto, quando sembrava solo limitarsi all'osservazione di Alberto e all'enunciazione dei suoi muti monologhi interiori (attraverso sottotitoli, nel film non si dice una parola) stava correndo il rischio, almeno per quanto mi riguarda, di un documentario un pò fermo su sè stesso, eccessivamente ripetitivo e non capace più di cambiare ritmo.
Questo perchè Alberto vive nello spazio ristretto di pochi metri quadrati, tra il fiume e la sua immensa palafitta (il Grande Legno) che ha costruito.
Servivano idee. E ne arriveranno.
Ma del resto già l'incipit, con quella soggettiva, il bianco e nero, la musica straniante e le distorsioni dell'immagine, sembrava più un Evil Dead che un documentario su un vecchio solitario.
Ma che Re ad Po avrebbe potuto regalarci cose inaspettate lo vediamo nel bellissimo capitolo "sogno", davvero notevole, in cui ci viene raccontato l'unico ricordo di Alberto.
E, manco a farlo apposta, è un ricordo opposto alla solitudine e al ritirarsi dalla civiltà d adesso.
Nel luogo simbolo della non solitudine (la cucina di casa) con una donna che lui vede solo di spalle e poi lo scoppio della bombola a gas (simbolo di civiltà).
E Alberto che dopo quello scoppio (nel sogno e basta?) si è poi ritrovato qua, in questo mondo-altro fatto solo di verde, fiume e legna.
Un luogo dal silenzio assordante che viene restituito per quasi tutta la durata del doc da Klaverna attraverso una colonna sonora disturbantissima e assolutamente calzante.
La prima metà del documentario racconta la vita rituale di Alberto, una sorta di via di mezzo tra l'Abrazo de la serpiente e Swiss Army Man (con quella casetta che ne è quasi la copia).
Alberto e il silenzio, Alberto e il fiume, Alberto e la legna che lo stesso fiume gli regala.
Bello, molto bello, il capitolo in cui Alberto si mette quella specie di corona, quasi un autoproclamatasi Signore delle Mosche di un pezzo di terra dove, oltre lui, non c'è nessuno.
Poi c'è un gran bel montaggio velocissimo di lui che martella e il mostrare quelle mani, che non sono dita con calli, ma calli con dita.
Poi Re ad Po cambia, diventa surreale, quasi kitsch, emozionante, diverso.
Ne succedono di ogni.
C'è L'Alieno, una specie di reificazione del Verde. Forse una metafora anche dell'Altro, di chiunque venga a visitare il solitario pianeta di Alberto.
C'è il racconto del secondo sogno, quello delle bolle, quasi lirico e, almeno per me, molto emozionante.
C'è la strana sequenza di Alberto allo specchio, forse anche questa recitata ma funzionante.
Ci sono poi le scene di notte che sembrano esser prese di peso da Kill List, lui con quella cosa in testa, il buio, la fiaccola accesa.
E poi c'è lo straordinario finale.
Vedete, Klaverna con questo finale ha rischiato la didascalia in maniera rischiosissima.
A che serviva quel muto dialogo di spiegazione?
Perchè farlo?
E invece, beh, è straordinario.
Intanto per il modo in cui viene realizzato, ovvero quello di dialogo tra il nipote di Alberto (l'unico che ogni tanto va a trovarlo) e il manichino di un Pontiere.
Bellissimo.
Ma quello che più conta è che le quattro frasi che si "diranno" il ragazzo e il manichino non sono didascaliche, non sono pleonastiche, ma in un solo minuto cambiano completamente Re ad Po.
Perchè lo fanno diventare tutt'altro.
E un documentario che era sulla bellezza della solitudine e della fuga dalla società, diventa invece un documentario sul Dolore.
E quel silenzio così esaltato è invece una sordità non richiesta.
Cherchez la femme si diceva una volta.
La genesi dell'espressione ha tutt'altro significato ma possiamo comunque estenderlo.
C'è sempre una donna nella vita di un uomo.
E quasi tutte le solitudini sono in realtà mancanze di lei, di loro.
Quel sogno iniziale probabilmente non era solo un sogno, ma una tragedia immane che ha colpito Alberto.
Che, sordo e solo, si è rifugiato a vivere il suo dolore vicino al Po.
Ma in ogni luogo andremo, in ogni solitudine ci rifugeremo, in qualsiasi stato saremo, tutti noi avremo un nome di donna da scrivere in un cartello.
E lo appenderemo là sopra, dove qualcuno, che siano gli altri, che sia lei o che siamo noi stessi, possiamo volgere lo sguardo per vederlo
Carissimo, ne avevo sentito parlare, e grazie mille per disponibilità e segnalazione. non mancherò di inviarlo anche a gente strana che proprio sul Grande Fiume sta
RispondiEliminafammi sapere se l'hai chiesto al regista o devo mandartelo
EliminaMandi tu ok? Grazie
RispondiEliminati arriverà prima che farai in tempo a dire crostata di mirtilli
Eliminavisto ora...molto bello, complimenti all'autore. vado a leggere un poco sul tipo e su quei magici luoghi
Eliminamolto bene!
Eliminail titolo corretto della recensione dovrebbe essere SPOILERS OVUNQUE
RispondiEliminacome sempre ;)
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