Seconda puntata della rubrica di Romina su quei film dalle realtà sfuggenti, inafferrabili, perse nel tempo
Come ha dichiarato lo stesso regista in un' intervista, questo è un film nato per produrre immagini, per negare quelle stesse immagini e farne produrre delle altre. Prendete e visionarizzatevi tutti!
L'altra
notte ho fatto un sogno singolare. La mia reflex è caduta inavvertitamente in acqua, appena me ne sono accorta l'ho tirata subito fuori
sperando non si fosse definitivamente ridotta a fermacarte. Ho cercato con poche speranze di accenderla mentre con mia sorpresa ho visto che non
solo si accendeva, ma, con un meccanismo che arrancava, riusciva
anche a scattare foto. Il punto è che le foto che venivano fuori non
erano più foto normali. La breve immersione nell'acqua le aveva
regalato una spece di dono della medianità evidentemente, perchè
ciò che vedevo sullo schermo lcd era un paesaggio che rivelava
presenze spettrali invisibili agli occhi. Il tutto virato a colori
acidi e saturatissimi. Visioni dentro lo schermo.
Di questo sogno
ricordo ancora vividamente molti particolari e mi spinge a fare delle
riflessioni. Forse non vediamo abbastanza quando guardiamo qualcosa,
forse non vediamo affatto. Forse sono i nostri pensieri che ci scorrono davanti,
proiettati in un cielo pieno di nuvole o nelle finestre illuminate di
una città, e ci sembra di non essere lì. Si, vediamo troppo
superfluo nel paesaggio e va a finire che ci perdiamo l'essenza. Ed è
da qui che nasce l'estraneità, siamo stranieri quando non riusciamo
a fermarci in un punto e ad osservare qualcosa fino a sentirci parte
di esso, senza rovinarlo coi nostri artifizi mentali. Noi e il
paesaggio dovremmo essere una cosa sola e riuscire a vederlo come se
il mondo visibile e invisibile fosse una indistinta unità. Senza far
nulla, senza azione.
In ''Quatre nuit d'un étranger'' (che per la sua atmosfera retrò sembra un film francese uscito dagli anni 60 quando in realtà è del 2013 e di un regista italiano per giunta) ci sono un
uomo, uno straniero, e una donna, venuta da chissà dove. Non
sappiamo nulla di loro, non ci è dato saperlo. I due si incontrano
per quattro notti, a Parigi. Si muovono in questa grande città dal
sapore antico, con la sua atmosfera romantica, qui mostrata
attraverso un bianco e nero sublime. Sono ombre scurissime o
improvvise esplosioni di luce, i due personaggi. Non si parlano, tra
di loro non c'è bisogno di parlare, le parole non servono, non
aggiungono nulla e anzi, disturbano. Non si toccano ma sono
vicinissimi, come due rette parallele camminano fianco a fianco,
molto più vicini di certe coppie che ostentano in gesti il loro
volersi bene. Non si guardano mai tra loro, guardano avanti nella
stessa direzione, come un' unica unità. Per quattro notti si
ritrovano per compiere gli stessi percorsi, quasi come se
comunicassero col pensiero li vediamo di spalle mentre attraversano
le stesse vie parigine, con i caffè, i lampioni accesi, fino a
fermarsi su una panchina a guardare la Senna col rumore dei battelli
e le lucine lontane. C' è tutto in quella scena ripetuta per
quattro, noi vediamo di spalle due figure che osservano in silenzio
un fiume che scorre, chissà cosa pensano, magari non pensano proprio
a niente e neanche noi, c'è solo un fiume che scorre ed è un
piccolo miracolo che continuerà ad esistere anche se a un certo
punto ci alziamo e andiamo via, ognuno per la sua strada. Cambiando
scenario la poesia resta la stessa: una panchina, le poltrone di un
cinema, gli sgabelli di un bar, le sedie di una sala d'aspetto. E' la
realtà che non siamo abituati a vedere, la realtà che scorre
imperterrita sotto i nostri occhi e a volte non ci sarebbe bisogno di
altro, momenti in cui perdersi e diventare un tutt'uno col paesaggio.
Quattro notti è la durata perfetta per una storia d'amore tra
sognatori. L'incontro è quasi prevedibile, per ritrovarsi poi basta
tornare all' angolo della stessa strada alla stessa ora (sono dentro
al paesaggio e il paesaggio li fa ritrovare), infine, l'abbandono,
che è solo un pretesto per ritrovarsi.
Dimmi,
enigmatico uomo, chi ami di più? tuo padre, tua madre, tua sorella o
tuo fratello?
– Non
ho né padre, né madre, né sorella, né fratello.
– I
tuoi amici?
– Usate
una parola il cui senso mi è rimasto fino ad oggi sconosciuto.
– La
patria?
– Non
so sotto quale latitudine si trovi.
– La
bellezza?
– L’amerei
volentieri, ma dea e immortale.
– L’oro?
– Lo
odio come voi odiate Dio.
– Ma
allora che cosa ami, meraviglioso straniero?
– Amo
le nuvole… Le nuvole che passano… laggiù… Le meravigliose
nuvole!
(L’étranger
– da Le Spleen de Paris, C. Baudelaire)
Interessante, non ne avevo mai sentito parlare, e tra l'altro italiano! Sai che la stesura sembra la fotocopia delle "Quattro notti di un sognatore", del mitico Bresson? Mi sorge il dubbio spontaneo che il regista l'abbia preso come fonte d'ispirazione...
RispondiEliminaCiao Frank ne stavo appunto parlando prima con Giuseppe, infatti il paragone c'è tutto ed è lampante, però non l'ho messo apposta, mi sembrava scontato e secondo me questo film un po' se ne discosta :D
Eliminaha un che di ineffabile questo film, da come lo racconti.
RispondiEliminaMi viene in mente qualcosa della meditazione zen - la mente sgombra, i pensieri come nuvole, da osservare senza fermarli, perché passino allontanandosi sul vento della coscienza. Molto bello il discorso sull'attenzione ai dettagli - che magari possono guastare la visione; La differenza tra vedere, osservare e comprendere. Osservare una realt che allo stesso tempo osserva te. ...
Per inciso, mi ha colpito molto questo pensiero: Quattro notti è la durata perfetta per una storia d'amore tra sognatori.
grazie Giovanni! Quella frase mi è venuta spontanea, l'amore si concentra negli angoli di un quadrilatero ma non chiedermi perchè :)
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