11.6.19

Recensione "Vampire Princess Miyu (OAV) " - Anime e Core, la grande passione per l'animazione giapponese - 2 - di Enrico G.



Torna il giovanissimo Enrico con la sua rubrica sull'animazione giapponese.
A differenza della prima puntata ( 5 cm al secondo ) qua si entra in territori più di nicchia e da veri appassionati.
Enrico si prende il suo tempo e mette anima e corpo nel parlare di questo OAV.
Vi lascio a lui

Cominciamo sfatando un mito, ovvero che la serialità animata in tv piuttosto che in dvd sia sinonimo di bassa qualità. Ormai le serie sono sdoganate tra gli alti ranghi dell’intrattenimento, tanto che stanno quasi prendendo il posto del cinema (non nascondo quanto la cosa mi spaventi), amate dalla massa che le ha strappate al consumo esclusivo dei nerd, e vi viene investito tempo e denaro appropriato. Eppure l’animazione, specie quella non americana e destinata all’home video, fatica a scrollarsi di dosso tali stereotipi.
  Ancora oggi, normalmente, qualcosa che arriva direttamente in dvd è per noi italiani uno di quei film stranieri un po’ di nicchia o indipendenti che non sono stati fatti passare sul grande schermo, oppure, secondo una logica americana, prodotti di scarso valore/budget destinati a riempire i cestoni dei negozi. 
In Giappone invece, tutta un’altra politica. L’home video era spesso un banco di prova dove testare il consenso del pubblico per determinate storie o generi, portando alla creazione di altri film o serie animate. Queste animazioni sperimentali chiamate OVA (acronimo di Original Animation Video) erano prodotti curati, sovvenzionati e spesso anche gestiti con totale libertà creativa, una possibilità insomma per nuovi autori di emergere, raccontando le loro storie indipendentemente dal successo che avrebbero potuto avere. Grandissimi artisti hanno usato questa espressione (Cyber City di Yoshiaki Kawajiri), anche per rattoppare gli errori di serie tv pessime e infedeli verso il manga (Hellsing Ultimate).
Per questo vi invito alla miniera di diamanti dimenticata, di cui oggi proverò a rispolverare una gemma.


Questa lunghissima premessa per contestualizzare Vampire Princess Miyu, strambo esperimento in animazione tradizionale, simbolo di un periodo incerto, con i primi vacillamenti nella produzione OAV dopo un boom negli anni appena successivi.
Il 1988, anno di produzione, serpeggia all’interno di tutti e quattro gli episodi: si sente la sottile paura che preannuncia la fine degli eccessi degli ‘80, gonfi di una nausea satura di capitalismo. E senza nemmeno più una filosofia alternativa, visto che il comunismo sta collassando, come farà il Muro di Berlino l’anno dopo. Nel primo episodio c’è una scena a suo modo profetica: la protagonista umana, la sensitiva Himiko, arriva all’aeroporto, adocchia un taxi, ma un breve sguardo al suo portamonete le fa capire che dovrà andare a piedi. Non è un periodo florido, neanche per il ricco Giappone, patria della produttività.

 Il disegno riflette la sostanza, optando per un realismo molto coraggioso, che non sfrutta nemmeno le espressioni sopra le righe tipiche della commedia nipponica; le uniche animazioni distorte sono quelle che inducono lo spaesamento, tra effetti fish-eye, linee curve, colori saturi e innaturali, specie il rosso sangue, inserito ovunque e in modi inaspettati, che accendono la realtà opaca degli uomini. Persino i classici occhioni grandi ed espressivi sono usati solo per personaggi giovani e innocenti, tutti gli altri li possiedono duri e allungati, a ricordare più la fisionomia asiatica.


Himiko è una medium che si reca Kyoto per un presunto caso di vampirismo. Nella vecchia capitale si scontra con Miyu e il suo servitore, quest’ultima che afferma di essere una cacciatrice di Shin-Ma ribelli, i Demoni-Dei, fuggiti dalle tenebre per tormentare ancora una volta il genere umano. Miyu stessa è tuttavia un vampiro, e dopo il primo incontro la sensitiva comincia a cercarla per saperne di più…
La trama, ammettiamolo, non fa gridare al miracolo. Di base, l’abbiamo già vista anche quest’anno, e non per la prima volta, in Hellboy: un essere sovrannaturale che dà la caccia alla sua stessa specie per il bene degli umani. Lo sceneggiatore Noboru Aikawa e il regista Toshihiro Hirano però scelgono a mio parere la via più saggia: caratterizzare la vicenda coll’inazione, piuttosto che con l’azione. Certo, ci sono i confronti con le creature che la nostra piccola vampira caccia, e sono anche fatti bene, con alcuni design impressionanti. Creature come Baku il tapiro (il mio preferito) o Lemures l’uomo corvo sono assolutamente meravigliose, ma non il fulcro della storia. Il ritmo, lento e compassato, ha più l’incedere di un mistero che di una caccia ai demoni. Mistero che rimarrà perlopiù nebuloso, rischiarato solo a chiazze. 

Questa potrebbe essere la molla decisiva per apprezzare o disprezzare questa serie: l’idea di trovarsi di fronte ad una dimensione sconfinata e completamente formata, di cui questi quattro episodi, con 25 minuti ciascuno, grattano a malapena la superficie.
Le scelte narrative ricordano notevolmente le storie brevi di Robert Ervin Howard, specie quelle dedicate ad un altro giustiziere, Solomon Kane. I cicli dello scrittore americano, molto amati da un altro Howard, Lovecraft, prediligevano situazioni cupe e macabre alle risposte razionali, proprio come questo cartone animato. Solomon Kane il Puritano è violento e fanatico, ma rappresenta comunque una giustizia implacabile, l’uomo giusto per il suo mondo crudele, come Miyu è la persona giusta per un mondo di umani spenti e deboli.
 Questo non giustifica certe pesantezze, che a suo tempo riscontrai anche nei racconti howardiani. Sembra sempre esserci un’incoerenza di fondo, difficile da mettere a fuoco, in questi mondi e nelle motivazioni dei personaggi. Rimangono comunque espressioni artistiche piene di fascino, che non mirano alla perfezione, ma ad un orrorifico viaggio nell’Ignoto, dal quale certe persone (me incluso ovviamente) si trovano irresistibilmente attratte.
 Ad accompagnarci sul cammino verso le Tenebre c’è Miyu, la principessa vampira. Lei è veramente il cuore di questa serie, una ragazza bellissima, quasi sempre vestita di abiti bianchi tradizionali, accompagnata da un oscuro servitore senza volto e senza parola. Essere l’espressione di una sorta di giustizia ultraterrena non la rende necessariamente buona: deve nutrirsi di sangue per vivere, e lo fa senza rimorso, con tutta la caparbietà e l’infantilità di una ragazzina. Non sappiamo se il suo giudizio, con la saggezza della vita eterna e la fallibilità dell’Uomo, sia imparziale; si sente spesso echeggiare la sua risata, anche quando non è in scena, a rimarcare questo dubbio e la sua ambigua presenza, che aleggia nel suo mondo come un monito.
L’altra faccia della moneta è Himiko la medium, una donna adulta e matura, ma sempre un passo indietro alla capricciosa Miyu, che conosce a menadito le tenebre, a differenza sua. Infatti a pensarci bene lei rappresenta proprio lo spettatore, che scopre a pari passo un mondo pericoloso e governato da leggi proprie. Il suo rapporto quasi materno con il “piccolo demone”, per usare le sue parole, è uno degli aspetti più interessanti dell’OAV, specie per la virata inaspettata impressa dal finale.


Entrando in zona “leggeri spoiler”, vale la pena di parlarne più approfonditamente trattando i singoli episodi.
1) Kyoto ultraterrena
Episodio introduttivo, vede il primo incontro tra Himiko e Miyu, attirate nella vecchia capitale dalla morte di cinque ragazze, ma solo quest’ultima sa che è opera di uno Shin-Ma…
Qui si gioca parecchio sulle aspettative che ha lo spettatore medio riguardo i vampiri. Durante il secondo attacco del succhiasangue (sottilissimo, quel vetro che si crepa una sola volta ci dice tutto quello che ci serve sapere) vediamo Miyu per le strade che osserva la scena. Niente di sospetto, sta piovendo e il suo servitore le regge un ombrello. Poi però la vediamo, più tardi, in piena luce del sole (senza luccicare per fortuna), e i crocifissi sembrano non farle niente. Intanto la nostra medium viene chiamata ad esorcizzare una bambina, Ayko, caduta in un sonno profondo che sembra non finire mai. Da segnalare la prima volta che la vediamo: la tensione è palpabile, prima la gigantesca casa ondulata e deformata, con quell’animazione innaturale, già usata durante il primo omicidio, che ci indica una realtà contorta e aliena. L’aglio alla porta, i genitori della bambina, muti e cupi. Poi la rivelazione, con il respiro satanico e i gemiti innaturali, la carrellata sulla stanza spoglia, gigantesca, quasi fosse estensione del Male annidato in Ayko, che infetta e si espande in tutto lo spazio circostante.
I due “casi” ovviamente coincidono, e la risoluzione è catartica e dolorosa allo stesso tempo. L’orrore si rivela, viene sconfitto, ma il prezzo da pagare è alto. Gli Shin-Ma non sono poi così potenti, ma il dolore della perdita sì. C’è chi vi muore, e chi, ottenebrato dalla tristezza, sceglie una felicità illusoria.
“A voi non piacerebbe essere felici per l’eternità?”

2) Lo spettacolo delle marionette
Eccolo, forse l’episodio più difficile di tutta la serie. Non lo considererei quello che mi piace di meno, il bello di questi brevi racconti è proprio l’essere praticamente speculari come trame e tematiche, così da poter avere ragione di esistere solo insieme, senza creare disparità nella qualità generale. Forse c’entra il fatto che gli episodi di mezzo siano quelli più fieramente giapponesi, con tutto ciò che ne consegue nella fruizione da parte di un occidentale. Abbiamo, in ordine sparso:
-le bambole artigianali giapponesi
-l’ambientazione scolastica
-gli abiti tradizionali
-l’abbandono (psicologico e fisico) delle famiglie verso i figli
-le pressioni dei giapponesi per voti o incarichi ereditari
-i suoni, la musica e lo stile del Teatro Kabuki (questo dettaglio diventerà dirompente sul finale…)
Ancora una volta abbiamo un ragazzo e la sua angoscia, che vorrebbe far scomparire. Ancora una volta abbiamo cinque ragazze (scomparse, non morte) che danno inizio alla vicenda. Per Miyu però è tutto diverso. Vediamo l’altro lato della cacciatrice, l’adolescente, che stavolta ha molto da perdere. Scopriamo che le vittime della sua sete non sono casuali, ma scelte con un misto di bisogno e sentimenti, e guadagnano in cambio la vita eterna. A volte però una promessa di vita eterna è nulla davanti all’amore…
Anche qui da segnalare una scena madre. Quando Miyu approccia lo Shin-Ma (non è difficile scoprire chi è, basta notare la carnagione di una tinta diversa dagli altri) la prima volta, quest’ultimo scappa facendosi scudo con una delle bambole che gli riempiono casa. Un momento davvero horror, la scoperta della natura della marionetta, con lo zampillo di sangue, l’agghiacciante urlo e infine la caduta scomposta.
Il confronto finale avviene invece in terra consacrata, dove afferriamo finalmente in pieno il titolo. La sconfitta/vittoria è di Miyu, davanti ad un atto d’amore (o di egoismo?). La chiesa diventa un immenso teatro, la lotta una danza, le bambole uomini. È finita, la musica incalza, ora di avviarsi verso le Tenebre. Sipario.

3) Fragile armatura
Questo terzo OAV, se non il mio preferito, è almeno quello che tocca le corde più vicine a me.
L’inizio è già spiazzante. Il consueto prologo ci porta davanti ad un tempio innevato. Lente dissolvenze in avanti ci fanno vedere il tetto, poi un sigillo in pietra. La maschera di Larva (sì, in italiano suona male), il servitore di Miyu, è incastonata nella parete, e lei deve chiedere aiuto ad Himiko. Qua l’atmosfera è più crepuscolare del solito, il ritmo dilatato. La bellissima colonna sonora, di cui dovrei decisamente parlare di più, è onirica. Sotto le dolci note, immagini come i piedi di Miyu che corrono sfiorando appena la neve, nudi tranne un nastro rosso alla caviglia, sembrano fuoriuscire da un sogno.
Poi sembra di essere in February, con il ghiaccio tutto intorno, e il Male nascosto nelle nebbie. Ci viene finalmente svelata la storia di Larva, e di come si sia sottomesso alla piccola demone, lui che avrebbe dovuto guidare gli Shin-Ma ribelli. Non vi svelerò la motivazione dei mostri di turno, perché ci sono alcuni momenti da brivido che vorrei poteste gustarvi. La realizzazione e la giustizia finale collimano, in momenti di rara poesia. La neve ricomincia a cadere, l’orrore di February diventa la tragedia alla Lady Vendetta. Un occhio disperato si intravede nelle vuote orbite, un urlo tardivo riempie il silenzio prima degli spari. Cade il sangue, poi la neve, a tutto coprire.

4) Tempo immobile
Il finale, come è giusto che sia, rompe lo schema, perché non puoi chiudere un cerchio se continui ad andare dritto. Stavolta niente mostri, niente scontri, niente indagini. Himiko, spinta dai ricordi, si reca a Kamakura, la vecchia capitale del Kanto. Non siamo nemmeno più a Kyoto, nel Kansai, come nei precedenti episodi. Su una strada di campagna, riflette sugli incubi e i sogni, veri o presunti, della sua infanzia. Ritrovata una casa dove aveva assistito a qualcosa di orribile, vi trova Miyu, che le narra la sua storia. 
Oltre ad essere molto emozionante, specie nel rapporto con la madre, questo flashback fa tornare molte cose. Certe frasi (anche per te il tempo si è fermato, vero? / chi rifiuta tristezza, amore e odio, non posso perdonarlo) o dettagli, come i petali di ciliegio de “Lo spettacolo delle marionette”, gli stessi che circondavano la prima vittima della sua sete. Vediamo il suo destino ingiusto, la nascita della sua infantile saggezza. Poi, all’improvviso, accade qualcosa, sogni, ricordi e realtà si confondono. In un finale alla Blade Runner, che instilla in noi un ultimo dubbio, udiamo la risata giocosa e beffarda di Miyu, per l’ultima volta.

2 commenti:

  1. Grazie Giuseppe, disponibile e gentile come al solito, nonostante ti abbia fatto attendere parecchio per un pezzo decente, promesso da tempo ;) introduzione ottima e anche con un tocco in più: "...ci mette corpo e anima nel parlare..." I see what you've done here ;)
    Enrico

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    1. ti stavo per mandare un sms, non c'è stato bisogno ;)

      sì sì, messaggio subliminale ;)

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