4.9.19

Festival del Cinema di Venezia 2019 - giorno 6 - 4 settembre


MARTIN EDEN

di Pietro Marcello


CONCORSO

Filippo Tassinari

Martin è uno marinaio e un giorno salva da un pestaggio Arturo. Invitato a casa per ringraziarlo conoscerà la famiglia borghese e acculturata e la bella Elena di cui si invaghisce. La distanza di status e cultura tra i due è abbissale e nel tentativo di colmarla, Martin si appassiona alla lettura e sucessivamente intraprende la carriera di scrittore.
Ispirato dall'omonimo romanzo di Jack London, Martin Eden ruota tutto sulla bravura interpretativa di Marinelli e sulla convincente regia di Marcello.

Voto: 7

Riccardo Simoncini

Pietro Marcello è, senza dubbio, una delle personalità più illustri e rare del nostro cinema italiano contemporaneo. Quello vero, spontaneo ed intimo, che racconta le piccole realtà e dà voce a chi spesso non l'ha mai avuta. Prima ancora che documentarista (perché definirlo tale sarebbe riduttivo), è un osservatore, un creativo, un romantico, un artista poliedrico capace di andare sempre oltre e superarsi ogni volta. Egli è in grado di partire da ciò che è sommesso, dimenticato, spesso anche rifiutato e scartato, per trasfigurarlo in qualcosa di estremamente affascinante, armonioso e poetico. Pietro Marcello è, in questo senso, una vera e propria forza della natura, inarrestabile creatrice, ma soprattutto trasformatrice che, in quanto tale, è in grado di partire da sabbia e detriti (scarti "sporchi" appunto, come le storie da cui parte Marcello) per trasformarli in bianchissime perle, preziose e lucenti (come il suo cinema che reinterpreta quelle stesse storie). Il suo forse non si potrebbe neanche definire come cinema del reale, sicuramente però non realista, perché rifugge le convenzioni del documentario e ricerca la sperimentazione. Marcello non si può incasellare in un genere o stile, è un artista a parte, definibile solo da se stesso e dai suoi film. Martin Eden è un lancio verso qualcosa di ancora diverso e nuovo rispetto al passato (si diceva proprio prima che Marcello ama spingersi oltre ad ogni film): una produzione più grande, degli attori professionisti ormai affermati (tra gli altri, un Luca Marinelli sopra le righe), un testo da cui attingere che è un vero capolavoro letterario. Così, da quella magica commistione di realtà e finzione, che caratterizzava i precedenti lavori di Marcello, si accede ad un luogo creativo che oscilla tra l'adattamento e la reintrepretazione. Sempre labili sono stati, infatti, i limiti di genere per il regista casertano, che ha sempre scelto strade non convenzionali per raccontare ciò che, magari in partenza, non doveva essere inventato, perché già esistente di per sé. È come se Marcello guardasse una realtà che è già data, ma la osservasse attraverso una lente particolare, preziosissima: una lente intima, avanguardista, che in parte distorce forse quell'immagine originale della realtà, ma la esalta e la potenzia ulteriormente. Per questo i precedenti film non potevano essere visti semplicemente come il racconto cronachistico di storie di uomini veri, ovvero attraverso un approccio oggettivo al documentario, perché Pietro Marcello è soggettività all'ennesima potenza. Allo stesso modo, Martin Eden non può essere valutato come la pura e fedele trasposizione del capolavoro di London, perché di nuovo la lente del suo occhio registico distorce e fa suo qualcosa che esiste già di per sé.  Difficile sarebbe, infatti, passare da un'opera letteraria ad un'opera filmica, senza rischiare poi di valutarne il mero confronto. La situazione diventa poi ancora più impegnativa se bisogna adattare un'opera così immensa e pregna di significato come quella di London. Così Marcello decide di reinventare appunto il Martin Eden, declinare la sua poetica in un'opera diversa dall'originale, libera da coordinate temporali, dove cambiano i personaggi e i contesti geografici, ma dove vengono però conservati i caratteri e le pulsioni del capolavoro novecentesco. Permane l'essenza di quello stesso Marcello di quei piccoli grandi film, come "La bocca del lupo" e "Bella e perduta": l'attenzione verso gli ultimi, l'estremo e profondo legame empatico che si stabilisce con essi è quello tipico di chi solo sa raccontare davvero la realtà, filtrandola secondo la propria visione, e allo stesso tempo, cercando un contatto, un legame profondo con l'essere umano. Martin, infatti, è un giovane marinaio che, nonostante non sia istruito, ama intimamente la conoscenza, la cultura ed in particolare la letteratura. La ama tal punto da volerla farla sua e perseguire dunque il sogno di diventare scrittore. La sua vita rimane sospesa tra due mondi, da un lato quello dei poveri emarginati e senza istruzione da cui proviene, dall’altro quello dei ricchi, quello della cultura che diventa erudizione, quello di Elena, la ragazza borghese di cui si innamora, verso cui tende. La sua scrittura, viscerale e diretta, diventa simbolicamente il ponte tra quei mondi: partire da storie crude, basse, per raccontarle in una forma considerata alta. Marcello racconta la vita, o meglio la materia viva, che scalpita, si muove, desidera farsi valere. Ad animare questa materia è il fuoco letterario di Martin che arde, infuoca, travolge tutto ciò che si trova davanti. Quello del regista è un canto d'amore contemporaneamente stregato e fatato e per questo così tanto seducente ed ammaliante per raccontare ancora una volta degli ultimi, dei reietti, di cui si appropria come un padre per raccontarci la loro storia. Non dobbiamo dimenticarli, non dobbiamo farli rimanere ultimi, come erano nel passato, ma sfruttare il nostro presente per portarli al riscatto. E così di nuovo Marcello riprende un tema a lui caro: la memoria del passato, intesa non con senso nostalgico, ma con slancio vitalistico. Parlare di passato significa rapportarsi con il tempo, grandezza che Marcello ama da sempre manipolare secondo la propria visione, con un accostamento di immagini che diventa cifra stilistica fondamentale. Così in questo film si sovrappongono e concatenano le differenti cronologie storiche, anche attraverso l’utilizzo di filmati d’archivio di epoche diverse, superando così ogni precisa determinazione temporale. Ne risulta un’opera senza tempo, con una dimensione temporale filmica che si fa evanescente per rappresentare tensioni e valori più che mai attuali. 
Sì, perché per capire la vita, l'ideologia, il sogno di Martin Eden, bisogna prima capire perché quel desiderio fosse tanto utopistico e destinato a fallire. Il volto di Luca Marinelli, che interpreta Martin, viene disegnato sullo schermo con una precisione quasi pittorica, tale da rendere ogni singola inquadratura un vero e proprio quadro da ammirare e studiare. 

Pietro Marcello raccoglie da terra il cappello da marinaio che Martin Eden ha simbolicamente gettato per lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita,  lo indossa e, in quel mare in tempesta che è il cinema italiano, riesce a salvare la nave dalle onde impetuose. Ci ha condotto a riva, nella terra dei grandi film. E ora siamo finalmente salvi.

THE KING

di David Michod


FUORI CONCORSO

Filippo Tassinari

La vicenda di Enrico V, da principe ribelle che vive tra il popolo a conquistatore della Francia.
Produzione Netflix che punta tutto sull'idolo delle teenager Chalamet: ideale per una serata di pioggia sul divano. Voto: 5 e ½


Riccardo Simoncini

Tutti vorrebbero essere il re. Tutti vorrebbero avere il potere di decidere su intero regno. Soprattutto se siamo nel Medioevo dove i diritti di un governante superavano di gran lunga i suoi doveri. Tutti vorrebbero essere il re, dicevamo. Tutti tranne l'erede al trono. Ma se per un colpo di destino, si fosse costretti dunque ad arrivare a quel trono? Come ci si comporterebbe?
Così il giovanissimo Hal (Timothée Chalamet), da ribelle distaccato dalla vita di corte, viene incoronato sotto il nome di Enrico V. E sotto quel nome, quel titolo nobiliare, dovrà iniziare a districarsi tra il caos, gli intrighi e le volontà degli individui che compongono il suo variegato regno. 
Re Enrico, il giovane Hal, prova un’insofferenza verso la guerra e anela per questo una pace perpetua che eviti dispendio di sangue e uomini. Ma le sue teoriche convinzioni dovranno presto scontrarsi con le esigenze dell’intero regno. E da giovane esile,  e di bella presenza, dovrà crescere, sporcarsi, diventando colui che tutto il Medioevo si aspetta. The King assume così più le tinte di un racconto di formazione che di un dramma storico, dove la crescita del corpo e della mente del singolo prevale sugli eventi cronologici della collettività. 
La guerra diventa dunque uno scontro di famiglie, o meglio di figli ereditari su cui ricade il peso dei valori di un intero regno. Singoli individui in cui costante è la lotta e il dilemma tra le tensioni personali (quelle a cui si aspira) e quelle ereditate dai padri (da cui si parte e da cui ci si vorrebbe distaccare). 
L’interpretazione che il regista David Michôd dà della vicenda è effettivamente originale ed inedita rispetto a ciò che si può aver già visto a riguardo e rimanda più alla versione di Shakespeare che alla verità storica. L’impressione che se ne ha è, però, che troppo spesso il regista non scelga con convinzione quale strada intraprendere e così il grande autore inglese rimane solo nell’aria, senza impregnare effettivamente la materia narrativa del film. Tante idee interessanti, ma purtroppo non altrettanta sostanza. 

CHOLA (shadow of water)

di Sanal Kumar Sasidharan


ORIZZONTI

Filippo Tassinari

India. Una giovane percorre una nebbiosa strada di campagna: il fisanzato con il suo capo la passano a prendere. Lei è uscita di casa ad insaputa della madre per passare una giornata in città con lui. Ma si fa tardi e saranno costretti a rimanere a dormire in città.
La pellicola, idealmente, si può suddividere in due parti: i primi 40' brillano per capacità registica e sviluppo, i successivi 80' per ripetitività, noia e fastidio.


Voto: 5

THE PAINTED BIRD

di Václav Marhoul


CONCORSO

Filippo Tassinari

Est europa, ultimi anni della seconda guerra mondiale. Un ragazzino vive con una anziana donna: alla sua morte sarà costretto a vagare in solitaria, incontrando personaggi e affrontando difficoltà.
Film durissimo che contrappone la bellezza del bianco e nero alla cruda drammaticità, a volte anche esasperata. Nonostante la durata, non ci sono ragioni per tenere gli occhi chiusi.


Voto: 8

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