15.7.21

Recensione: "Princess Principal" - Anime e Core, la grande passione per l'animazione giapponese - 13 - di Enrico G-




Tredicesimo appuntamento con Enrico e la sua rubrica sull'animazione giapponese!
Mini presentazione dello stesso Enrico e poi recensione.
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 Princess Principal è una serie animata abbastanza recente (appena qualche anno sulle spalle) di puro intrattenimento spionistico, 12 brevi episodi ambientati in un mondo dove la Storia, un paio di secoli fa, ha subito una leggera ma determinante variazione. Tutt’altro che straordinaria, forse limitata da una scrittura indecisa sulle sue stesse ambizioni, ma anche intrigante, colta, intelligente nel creare intrecci e personaggi memorabili, mai noiosa.
Un motivo per guardarla su tutti: è un’opera completamente originale, retta dalle proprie sole gambe, concepita senza le restrizioni di tanti adattamenti animati dei manga.Questo è un consiglio senza veri spoiler fino alla terza immagine, dopo la quale discuto alcuni episodi, narrazione, finale e possibile futuro dell’anime, quindi non leggere oltre senza aver visto.
Disponibile gratuitamente e integralmente in sub ita, sul canale youtube della Yamato Animation.

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Ogni tanto arrivano quei momenti nella vita di un appassionato di anime, in cui bisogna semplicemente arrendersi. Non si può andare sempre avanti a colpi di Studio Ghibli, cult del passato come Lupin III o opere filosofiche alla Mamoru Oshii. Ogni tanto bisogna guardare l’industria giapponese di oggi dritto in faccia e chiedere: “cosa offri? Cosa guarda il grande pubblico che potrebbe piacere anche all’esigente come me?”.

Parliamo di Princess Principal va’.

Quando mi imbattei per la prima volta in Noir, una di quelle opere d’arte che determinano la crescita culturale in ambito animato, non sapevo ancora dell’esistenza di un sottogenere di riferimento: “girls and guns”. Vi appartengono quelle storie abbastanza violente, con trame troppo complicate e adulte per i bambini ma perfette per lo spettatore adolescente medio (e non solo), generalmente costruite attorno ad una coppia/gruppo femminile invischiata/o in attività losche o che stanno ambiguamente a metà tra bene e male. Ragazze e pistole, appunto. Noir, ma anche i successori spirituali nella “trilogia dello Studio Bee Train”, cioè Madlax e El Cazador, poi Gunslinger Girl, lo stesso Ghost in the Shell con franchise annesso e infine, Princess Principal. Nella serie seguiamo un gruppo di spie operative a Londra, fine ‘800, capitale del Regno d’Albion, palese ricostruzione dell’Inghilterra Vittoriana, con annesse colonie d’oltremare. Le cospiratrici si fingono normali rampolle della nobiltà, studentesse all’Accademia Queen’s Mayfaire, ma in realtà lavorano per conto della Repubblica. Sì, perché una delle maggiori attrattive di Princess Principal è il mondo ucronico in cui i personaggi si muovono, dove il Regno Unito si è spaccato 10 anni prima per una rivoluzione: la monarchia ha resistito solo nella capitale, separata ora dalla nuova entità politica da un immenso Muro che si estende intorno a tutta la metropoli fino all’estuario del Tamigi.(Quest’anime è stato fatto nel 2017, direi che l’appiglio con l’attualità di allora si palesa da solo. Cambiando discorso, anno curioso per il genere spionistico: uscì anche il secondo film di Kingsman, il Cerchio d’Oro, dove veniva presentata un’organizzazione spionistica con i nomi in codice ispirati agli alcolici, esattamente come propone di fare una delle ragazze della Queen’s Mayfaire, durante una discussione con la squadra. Fine digressione)Insomma, se la City ricorda Berlino, l’aria che tira è proprio quella di una Guerra Fredda, combattuta nei quartieri a colpi di spionaggio più che di cannone. Non è l’unica similitudine novecentesca che si potrebbe trarre da questo mondo, andrebbe almeno citata la caduta dei Romanov, qui richiamata dalle bandiere rosse e gialle della folla, all’assalto del palazzo reale. L’unico vero dettaglio non rielaborato ma inventato di sana pianta è alquanto affascinante, e dà alla serie quel bel velo steampunk, abusato ma sempre benvenuto, come si addice all’accoppiata di fantastoria e XIX secolo: la cavorite. Quando si è appassionati di Storia con la S maiuscola viene sempre apprezzato chi sa fare il proprio lavoro in simili racconti di finzione: hanno individuato una colonna portante della vera Inghilterra Vittoriana, il suo primato nella Rivoluzione Industriale di tardo ‘700.


A quel punto è bastato sostituire l’elemento fittizio alla materia prima che fu artefice di quel grande balzo in avanti, cioè il carbone, e boom, ecco nato un mondo nuovo. La cavorite è un materiale verdastro e luminescente, e poiché permette la levitazione, fautore di un precoce progresso meccanico dell’aviazione. Sarà ovviamente base di strambi macchinari che mischiano il passato e la fantascienza, dalle possenti aeronavi dominatrici dei cieli ai minuscoli dispositivi (le C-ball) capaci di modificare la gravità intorno ad una persona, nonché delle creative sequenze di “volo” con cui gli animatori si saranno indubbiamente divertiti, per la gioia condivisa degli spettatori.A proposito, l’animazione è moderna, di buon livello in standard televisivi giapponesi: ciò significa colori vivaci e movimenti ben articolati, ma anche fondali non troppo dettagliati e computer grafica appariscente. Quest’ultima per fortuna è bella CG, specie perché i creatori, con molta intelligenza, l’hanno usata soprattutto nell’architettura della metropoli, con i giganteschi tubi di scappamento che escono dagli edifici e gli accrocchi tecnologici, in modo da sfruttare al massimo quel senso di alienazione che trasmette.

Il resto è in tecnica tradizionale, che raggiunge vette quasi cinematografiche nel pilot. Non è comunque una novità che il primo impatto con gli spettatori sia generalmente più curato della media; pure Lupin III aveva fatto qualcosa del genere, in fondo dagli anni ’70 le dinamiche degli studi non sono poi cambiate così tanto: viene preparato qualcosa che possa magari fungere da introduzione per il pubblico, ma soprattutto da antipasto per i produttori. Sono loro i primi a visionare, dover essere convinti della bontà del prodotto, le possibilità di successo, la remunerazione dell’investimento. Una volta approvato si passa alla serie vera e propria, cercando di non far pesare troppo la restrizione di tempo e budget, quindi di qualità (operazione nella quale Princess Principal riesce bene, d’altronde sono solo 12 episodi). Discorso a parte va fatto per i personaggi, il cui design potrebbe non soddisfare molti. È l’eterna questione del Moe, ovvero quel tratto di disegno che evidenzia il lato “puccioso” dei personaggi, più spesso con le femmine, tramite stature minute, linee morbide, occhioni sgranati, grandi ed espressivi. Personalmente non mi disturba troppo, anzi in questa serie si sono decisamente trattenuti rispetto alla media, lasciando alle ragazze quel minimo di solidità necessaria ad una storia cruda come questa; mi stranisce più che altro il paragone d’età, con le più piccole del gruppo (16 anni) che sembrano bambine a fianco delle adolescenti di appena un anno in più. Ancora più stridente il paragone con le poche figure maschili, il cui design più sobrio li fa apparire trentenni anche quando dovrebbero essere coetanei.Assoluta punta di diamante del disegno sono piuttosto i vestiti, dove si raggiungono esiti spettacolari, in un misto di eleganza e ispirazioni contemporanee. Degno rappresentante di una strana ragazza, Abitante del Pianeta della Lucertola Nera, mi è rimasto particolarmente impresso un completo: tuta tecnica con fondina sopra, gonna cortissima a sbuffi sotto, guanti neri con pelo, fazzoletto da bandito sulla bocca, tuba rossa e nera in testa. Un cult fatto e finito.Ricapitolando, abbiamo un ottimo compromesso tra qualità e occhio al mercato. Un cartone dall’anima, anzi un anime dall’anima steampunk abbastanza riconoscibile ma creativa; citazionista, originale nel senso di scritto ad hoc senza alcuna ispirazione cartacea, breve, pure troppo, appena quattro ore o poco più per un mondo così gigantesco. C’è più senso per lo spettacolo e l’atmosfera che per le finezze di sceneggiatura, a volte trascurate in modo abbastanza esasperante (più che altro a metà stagione); i dialoghi però sono sorprendentemente ben scritti, sanno sempre come dosare tematiche, interazione tra i personaggi, dettagli d’epoca e qualche traccia di umorismo. Il tutto accompagnato dalle solite ost eclettiche di Yuki Kajiura, una compositrice praticamente sinonimo col genere, avendo curato una buona metà degli esempi da me citati.Ci sarebbe anche la storia, dove le cose si fanno complicate. Vedete, Princess Principal segue un doppio binario. La narrazione viaggia in gran parte in verticale: comincia la puntata, la situazione viene stabilita e risolta alla fine dei canonici 24 minuti. Sono avventure dai titoli sgargianti, fatti di allitterazioni o sonorità poetiche della lingua inglese (Loudly Laundry, Pell-Mell Duel, Comfort Comrade…), che a seconda della situazione o del punto di vista calcano più la mano sul divertimento, sulla tensione, sull’azione o sulla ricostruzione e decostruzione storico-culturale. Ci sono episodi per tutti i gusti, sparpagliati in una specie di puzzle, a formare a poco a poco un mondo appassionante benché spietato, oltre a personaggi altrettanto fascinosi e ambigui.




Al numero dell’episodio viene affiancato ogni volta quello del “case”, a rappresentare il vero ordine cronologico in cui si svolgono le vicende. Per questo il pilot, furbescamente, è un caso abbastanza avanzato che presenta le meccaniche di base del mondo e della squadra di spie, ma volendo si potrebbe rivedere seguendo tutt’altra modalità rispetto a quella presentata dagli autori. Questo accade perché esiste una narrazione orizzontale, che mira a raccontare qualcosa di più grande e, alla luce di un paio di colpi di scena ben assestati, anche più toccante della singola quotidianità delle agenti repubblicane. Purtroppo questo lato di Princess Principal rischia di essere affossato da una conclusione non all’altezza delle premesse.

Vale la pena (o ne è valsa la pena, a seconda di chi legge) vedere quest’anime allora?

La mia risposta, ovviamente sì, altrimenti non ci avrei sacrificato tante parole, va dovuta principalmente ai personaggi. Il più grande mistero di questo cartone, onestamente. Sulla carta, non si distanziano affatto da un certo stereotipo del “team in un anime”: c’è la ragazzina caruccia e inesperta, la spaccaculi praticamente imbattibile nel combattimento, la super maggiorata allegrotta e ubriacona, e le due protagoniste, che attraversano tutta la serie in un’ambigua tensione, non si capisce se sessuale o meno, tra quella fintamente fredda e apatica e quella espansiva e sempre sorridente, l’unica capace di mandare in contropiede la prima. Tutte, ça va sans dire, con il loro bagaglio di storie traumatiche che verrà volentieri sviscerato in episodi dedicati.In pratica però, se c’è una cosa in cui Princess Principal ha carattere è proprio nel tratteggiare i personaggi e le loro relazioni. Gli episodi più belli, o comunque le parti più belle di quelli peggiori, sono dedicati alla vita delle ragazze all’interno del team, perché si fa un vero sforzo nell’elevare degli stereotipi. Per esempio è interessante notare come, per una serie così innamorata del passato, tutte le protagoniste vivano nel loro presente: non ci sarà praticamente mai l’escamotage del flashback a scopo espositivo, se non brevi momenti sparsi, tutti volti a sottolineare una scelta, un momento esatto. Stesso discorso per la Storia grande, quella dei paesi per cui queste spie combattono: qui chi vive nei ricordi fa generalmente una brutta fine, mentre le ragazze sopravvivono perché del passato affrontano solo le sue ripercussioni sul presente.



Vice Voice, il terzo episodio nonché mio preferito in assoluto, è un perfetto esempio della cura rivolta a queste ragazze. Come molti altri si dedica ad una coppia per volta, qui Ange e Beatrice, invischiate in un colpo molto particolare, in volo s’una delle regie aeronavi. Diciamo subito che la trama mette in piedi un fantasioso divertissement col mischiare elementi di questo mondo al sano spionaggio classico, quello di infiltrazioni, piani d’azione, furti di matrici, ascolto delle comunicazioni, fuga rocambolesca. La costruzione è impeccabile, con tutto quel che potrei volere da un episodio di Princess Principal: ambientazione che diventa protagonista, con lo spazio ristretto della nave fortezza e prigione al tempo stesso; atmosfera avvolgente, specie nella parte esterna, tra il fischiare del vento e l’umidità delle nubi; una sceneggiatura di svolte e di dialogo, costruzione certosina della tensione. Tante piccole altre cose, le basi del team, ancora senza nome e senza Chise, la passione alcolica di Dorothy, derivata da un passato che verrà sviscerato altrove, il loro club, le diavolerie spionistiche tipo la penna esplosiva, degne del laboratorio di Q di bondiana memoria. (Ora che ci penso Princess Principal è una serie estremamente bondiana, i gadget, il loro superiore L che ricorda l’M di 007, addirittura la stessa struttura spionistica di cui è capo, denominata Control come nei libri di Ian Fleming). Infine, ma non meno importante, i rapporti umani che questa serie riesce così bene a far brillare. Beato, quest’ultima alla sua prima, riluttante missione a cui si rivela fondamentale, scardina quell’impressione da zavorra inutile, messa lì solo per strillare preoccupata e apparire carina. Si rivelerà col tempo una specie di collante a tenere unita la squadra, nonché membro indispensabile per la sua capacità di modulare la voce. Un personaggio sempre empatico, costantemente impegnata a colmare il distacco dalle altre, spie o guerriere professioniste, con una dedizione pressoché assoluta determinata solo dalla sua fedeltà alla Principessa. Un interessante contraltare con Ange, la più brava e spietata del gruppo, personificazione se ce n’è una del “preferisco lavorare da sola”. Con la più inesperta nasce un’improbabile quanto credibile intesa, simboleggiata da quel reggersi il gioco a fine episodio, accettare la bugia del Pianeta della Lucertola da Nera, da cui Ange continua a dire di provenire.

D’altronde come dice la Principessa nel primo episodio, “ci sono anche bugie che diventano verità, mentre le si pronuncia”. Momento saliente questo, sull’inquadratura della Principessa da piccola, ritratta con sua nonna la regina Vittoria. E il rapporto tra lei e la bugiarda Ange se vogliamo forma l’architrave di questa serie, il grande segreto che non è poi così difficile da immaginare alla lontana: Ange, l’aliena del Pianeta della Lucertola Nera, è la vera principessa smarrita nella rivoluzione, mentre la bionda Charlotte è solo una ragazzina di strada che le somigliava, scambiata per la Principessa e cresciuta come tale. Rivelazione attesa fino all’episodio otto Ripper Dipper, essenziale contribuito nel dare finalmente una psicologia a questo personaggio così debole, contestualizzando la sua stucchevole perfezione in un contesto di sopravvivenza, una facciata che la rende molto più profonda e un minimo simpatica agli occhi di chi guarda. Non è probabilmente un caso che l’episodio successivo, Pell-Mell Duel, sia dedicato al rapporto tra lei e Chise, nell’inusuale ruolo di maestra di vita e allieva rispettivamente, esploratrici del ruolo dei duelli e dell’onore nella cultura occidentale.



Purtroppo non sempre il livello di continuità si mantiene così alto.

Qualche crepa si può intravedere persino nei primi episodi, i migliori. Vi viene stabilito un certo ruolo “passepartout” della Principessa, che essendo imparentata con la famiglia reale può infiltrare se stessa e colleghe praticamente dovunque. La domanda è, ma il Duca di Normandia, dopo tre episodi di fila (anche se non ordinati cronologicamente) non si accorge che dovunque vada sua nipote avvengono dei sabotaggi? Almeno nell’episodio 5 la lascerebbe volentieri morire, facendo intravedere qualche sospetto, ma alla luce del finale (dove trova il suo colbacco bianco) dobbiamo supporre che fino ad allora non avesse nulla di preciso in mente. Sempre intorno alla Principessa si creano problemi, quando invece di aprire le porte delle cerimonie ufficiali o luoghi riservati, deve andare a fare la spia in prima linea. Il peggiore degli episodi, il settimo, proprio nel mezzo del calo di qualità della serie (si riprenderà col seguente), è pieno di queste incongruenze.  Abbiamo stabilito fin dal primo che la Principessa è un personaggio pubblico: nelle parole del ricercatore Eric, “Lo so [chi siete]! Tutti, in questo paese, ne sono a conoscenza…” Allora che razza di senso ha la partecipazione ad una missione sotto copertura in lavanderia? Possibile che nessuno la riconosca?? Possibile che quando si scopre che è talmente ricca da potersi comprare l’intero stabilimento nessuno si chieda cosa ci faceva a lavorare lì??? (Salto a piè pari la questione di come abbiano fatto a spostare in una notte sola enormi macchinari AGGANCIATI AL SOFFITTO con delle cinghie, sennò non finisco più)
A parte questi dettagli fuori posto i singoli intrecci sono in realtà parecchio divertenti, sempre fantasiosi, come detto il problema giunge con l’assoluto dislivello di qualità tra questi e la narrazione orizzontale. I creatori se la sono spassata talmente tanto con questi “casi” (e noi, o almeno io, con loro) da arrivare all’episodio 10 con ancora tantissimo “corpo” della storia lasciato in sospeso. È come se, mi permetto un brutale volo pindarico, si fossero svegliati e “oh cazzo, avremmo anche una trama da raccontare e il budget per solo due episodi”. Questa è una serie molto corta, e si sa, difficilmente viene investito molto nelle opere originali senza grandi speranze di vendere tonnellate di giocattoli. Allora però, se si puntava sulla seconda stagione, bisognava imbastire una conclusione intermedia, prepararsi a chiudere qualche discorso. Hanno optato purtroppo per la soluzione peggiore, ovvero buttare qualsiasi cosa nel calderone senza un minimo di elaborazione, sperando di riutilizzarlo prossimamente. Ne consegue che gli ultimi due episodi sono un mezzo disastro, quasi una condanna per la serie, azzoppata da un senso di incompiuto terribile e dannatamente frustrante.La (non) costruzione del finale vede succedere tremila cose mai affrontate prima, il complotto per uccidere la Regina, i vertici repubblicani che sostituiscono L con un membro dell’esercito, l’introduzione di Zelda, la ribellione dei coloni. Tutte cose senza capo né coda, che succedono nello stesso momento e senza chiare motivazioni, raccontate male e di fretta, in un palese tentativo di arrivare il più presto possibile a chiudere baracca e burattini. L’insulto più grande però è che di orchestrare una degna conclusione c’era davvero bisogno. Ho adorato in molti casi le trame verticali dei vari episodi, ma si sentiva la necessità di un conflitto, un punto di rottura. Sul concludere dell’episodio 9 c’era stato un attimo in cui Chise aveva dubitato della sua squadra, sospettando un tradimento e di doversi difendere da una pugnalata alle spalle. Il tutto si era rivelato un banale fraintendimento che aveva rafforzato ancora di più il gruppo, ma aveva comunque aperto delle possibilità. Perché non andare fino in fondo, con questa consapevolezza di non potersi fidare di nessuno in un mondo di spie? Perché non dare un ruolo più ambiguo al terzo giocatore nella partita tra Regno e Repubblica, il Giappone, così da lacerare Chise nell’affetto per le ragazze e la fedeltà al proprio paese?Il finale di stagione, con il suo tono cupo dove sembra tutto andare a rotoli, dava l’idea di dirigersi proprio in tali lidi. Invece no, la serie fa un triplo salto mortale all’indietro e conclude né più né meno dov’era iniziata. Il Duca di Normandia ancora una volta non influisce per nulla. L’Impero Giapponese è ancora lì, non schierato, e Chise sempre parte della squadra. La relazione tra Ange e Charlotte non ha portato a nulla di più concreto di una vacanza a Casablanca, persino L è tornato (il generale sarà durato massimo due giorni) e se ne frega altamente del casino che hanno fatto le sue agenti, il Muro e la monarchia sono ancora in piedi. Dunque cosa abbiamo concluso in queste quattro ore? Praticamente nulla, ed è decisamente il maggior punto a sfavore della serie.



Da allora sono passati ben 4 anni, senza traccia all’orizzonte di una seconda stagione. Finita la serie però sono andato a vedere le ultime notizie in merito, scoprendo con mia enorme sorpresa che giusto qualche settimana prima era uscito in Giappone, dopo essere stato posticipato per la pandemia, Crown Handler. Esatto, è stato fatto un film di Princess Principal, nuovo di zecca (data di distribuzione nel resto del mondo imprevedibile), e nelle dichiarazioni dei creatori sarebbe solo il primo di SEI. Sono estremamente combattuto, poiché per forse la prima volta in vita mia avrei preferito l’annuncio di una serie, per correggere il tiro della precedente. Princess Principal non è Lupin, che a seconda dei casi può essere plasmato (serie tv, film, speciale, OAV), Princess Principal ha una storia e un mondo da raccontare. Tirarla per le lunghe annunciando ben cinque lungometraggi sequel dà l’idea di un progetto ancora instabile, che va avanti a tentoni rischiando di raccontare col contagocce o lasciare questioni in sospeso per sempre al primo ghiribizzo degli investitori.
Però che bello sarebbe, tornare a vedere quel mondo, rivedere ancora Chise, Dorothy, Beato, Ange e Charlotte. “Non c’è nulla di impossibile per una spia”. Una possibilità a loro, la darei di sicuro.


2 commenti:

  1. A me lo steampunk piace, però una serie non è un film o un videogioco, ci vuole impegno e al momento non ne ho, ma apprezzo e potrei dargli una possibilità in futuro ;)

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    1. Lo steampunk è un genere quasi di fiducia, viene sbagliato raramente ;)

      Ah comunque la serie è molto leggera, e ha solo dodici episodi di 20 minuti l'uno. Non impegna più di tanto, anzi è a suo modo rilassante.

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due cose

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3 ciao