23.12.18

Recensione: "Roma" - Su Netflix

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Roma è quasi un non film.
Somiglia più ad un album di ricordi in movimento.
Ricordi personali che però, a vederli tutti, sembrano i ricordi di ognuno di noi, come se l'infanzia fosse un terreno comune da cui poi la vita ci prende e porta via, rendendoci sempre più diversi l'uno dall'altro.
Ma Roma è anche il racconto di una donna straordinaria che in questo mondo che sembra perdere ogni giorno di più dignità e umanità pare quasi piovuta dal cielo


Si parte con un piano sequenza, come Gravity.
Ma questa volta non fluttuiamo nell'Infinito, ma sempre in uno Spazio siamo.
Ed è lo Spazio dei Ricordi, se possibile ancora più grande, ancora più indefinito, ancora più immenso.
E questo è Roma, una specie di non-film che usa il cinema non come fine ma come mezzo.
Cuaron sente il bisogno di ricordar cose e lo fa con un film.
Beato lui, noi che invece quei ricordi non sappiamo come ricostruirli quasi mai, e quando li afferriamo sono più le volte che ci scivolano dalle dita che quelle in cui riusciamo a tenerceli stretti.
Io in un film del genere fatico a parlar di cinema, chè il contenuto è troppo più forte del contenitore.
E allora mi perdo.
E rivivo tutte le cose che Cuaron ha voluto rivivere.

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Le macchine troppe grandi dei nostri padri.
Il fumo delle sigarette, ipnotico e fastidioso.
Il rumore del cucchiaino che sbatte sull'uovo alla coque.
Le ninne nanne che cercavano di portarci dolcemente nel mondo dei sogni.
I panni stesi fuori.
Tutti noi sul divano insieme a vedere un solo programma in tv.
Le tisane o i thè del pomeriggio.
Le ovatte e quell'alcool che brucia.
I pavimenti e l'acqua che li pulisce.
La magia della sala, del cinema, un qualcosa che sembrava sempre troppo bello per esser vero.
I salti nelle pozzanghere sotto la pioggia, quegli hoppipolla magnifici che adesso sembrano non esistere più.
Lasciarsi scivolare sul corrimano delle scale.
Sentire i tuoi litigare da dietro la porta e piangere di dolore.
Le gigantesche feste di famiglia di Natale e Capodanno.
Giocare con i circuiti delle macchinine.

Tutto quello che ho visto in Roma ha fatto parte del mio passato.
E poi ci sono cose ancora più particolari ma, incredibilmente, ho vissuto anche quelle.
L'incendio devastante che distrugge una collina intera.
Il terremoto che ti terrorizza.
L'arrotino che arriva nel paese.
E poi nel finale, in questo film che sembra quasi raccontare Giuseppe invece che Alfonso, arriva anche quel rischio di morte per annegamento, il ricordo più terrorizzante che ho.
E quel giorno la mia tata, la mia Cleo, aveva invece le sembianze di un mio fratello, bambino come me.
Poi c'ho pensato meglio.
C'era qualcuno che diceva che la morte è una livella perchè quando avviene tutti siamo uguali, ricchi e poveri, buoni e cattivi, belli e brutti.
E vedendo Roma ho pensato che c'è un'altra livella, l'infanzia.
Perchè a prescindere da quanto bella l'hai avuta, da quanto sofferente, da quanto ricca o da quanto povera, da quanto piena d'affetto o quasi priva d'esso, tu quei panni stesi, quei pavimenti lavati, quei corrimano dove scivolare, quel fumo di sigaretta, quel divano dove esser famiglia o dove fingere di esserlo, tu tutte quelle cose là sopra l'hai provate e vissute.
E allora ho pensato che se è vero che non c'è un singolo uomo uguale ad un altro, è anche vero che alla fine saremmo tutti "più uguali" tra noi di quello che pensiamo, che l'imprinting è quello, che le cose che ci restano sono quelle, che le prime emozioni sono quelle.
Sarà poi la vita a farci diventare così diversi e, in tanti tanti tanti casi, a peggiorarci.
Roma è un tuffo dolce, sussurrato e un filo patinato in questo mondo comune, in questo mondo comune da cui poi usciamo quasi tutti divergenti.

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C'è la testa che mi vorrebbe portare al film, questo film bellissimo ma che per un'ora e mezzo mi sembrava avere un passo troppo monocorde, questo film così estetico ma anche così profondo.
Eppure la testa va sempre a quei contenuti.
E a lei, Cleo, una donna straordinaria che ha una dignità e un'umanità che più il mondo va avanti più sembra si siano perse, come se l'umanità si fosse emancipata ma questa emancipazione avesse portato quasi esclusivamente a narcisismi, arroganze e celodurismi.
Invece lei è una di quelle donne capaci di amare, voler bene e rispettare, quelle che "stanno sotto", che fanno le governanti, ma a livello affettivo sono alla pari di tutti, che non soffrono di questa loro condizione perchè non è questo che a loro interessa in vita.

Una donna che disse 

"Sono incinta"

e lui rispose 

"Vado un attimo in bagno"

senza tornare mai più, come in qual capolavoro di scena di quel capolavoro di film che fu Laurence Anyways

Una che quel giorno fu uccisa nell'anima da quell'uomo.
E quello stesso uomo, per caso, la ucciderà ancora.
Anzi, ucciderà la cosa più bella che lei aveva.
E se ripenso a quella scena mi vengono ancora i brividi, era al tempo stesso un horror e un'emozione indescrivibile.
Una scena immensa, in camera fissa, con quel "dille addio" che mi ha ammazzato.
Dire addio a chi non avevi ancora avuto il tempo di dire "eccoti, ben arrivata"

Cuaron gira almeno 4,5 scene straordinarie e ci regala 40 minuti finali tra i più belli di quest'anno.
L'incendio mentre il ragazzo svedese canta, gli allenamenti di arti marziali con quello strano ma intenso insegnamento, ovvero di non pensare di fare o realizzare cose troppo difficili se già quelle apparentemente facili possono essere così complesse, un Gravity anni 70 visto al cinema, la panoramica a 360 gradi di lei che spegne le luci della casa, il gioco all'esser morti col bimbo.
Eppure niente potrà battere la sequenza al mare, tesa, struggente, straordinaria.
Una donna che non sa nuotare che parte per salvare tre bambini.
Il ritorno in spiaggia.
Quell'abbraccio collettivo che non riesco nemmeno a descrivere, forse l'immagine di più alta umanità di un anno di cinema.
E quel suo dire "non volevo che nascesse", dirlo in quel momento in cui più di ogni altro sente amore e affetto, dirlo in questo momento in cui il coraggio di dirlo può venir fuori, dirlo adesso dopo che 2 minuti prima hai pensato che altri bambini potessero morire.
Il mio uscire dall'acqua fu diverso, in una spiaggia affollatissima dove quasi nessuno si era reso conto che un bambino era praticamente morto.
E quelle 4,5 persone accanto a me che provavano a farmi respirare.
Ecco, se la scena della mia vita fosse stata cinema lo sceneggiatore avrebbe reso me protagonista.
E invece no, qui ci sono tre bambini che si sono salvati per un pelo.
Ma noi non soffriamo per loro, noi soffriamo per chi l'ha salvati.
Per una donna meravigliosa che in qualche modo è esistita.
E a cui Cuaron dedica questo suo film, questo suo album di ricordi in movimento.
Dedico anche io ogni mia singola emozione a lei.
E a chi è come lei.

10 commenti:

  1. Recensione straordinaria per un film altrettanto straordinario, ma da metabolizzare. In questi tranche de vie nati come una questione privata del regista, infatti, tanto fa la sfera personale; l'immedesimazione. Se in Boyhood è stata totale, se L'amica geniale mi ha riportato coi brividi ai racconti agrodolci dei miei nonni, lo stesso non è successo qui. Per una questione di distanza forse, geografica ed anagrafica. Ma resta comunque una delle cose più abbaglianti e sontuose viste nell'anno.

    PS. Voglio sentirti su Cold War.

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    1. grazie infinite Michele...

      sai che i tuoi complimenti, visto come scrivi, sono graditissimi...

      perfetto, la penso esattamente come te. Per me vedere Roma è stato rivedere tante cose di me, altri ne avranno vissute meno. Ma sono convinto che la maggior parte, come ho scritto, facciano parte del passato di tutti, un passato comune, di piccoli gesti e piccole cose

      paradossalmente, vista la tua ultima frase, è un film dove ti sei immedesimato meno di me ma l'hai amato ancora di più ;)

      eh, ci provo per Cold War ;)

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  2. Come dire, ogni commento alla tua bravura è ormai superfluo, i dettagli che noti, come riesci a interiorizzare i film che vedi. Io da un po' di tempo non ci riesco più così bene, a memoria l'ultimo film che mi abbia veramente toccato è stato quello di Koreeda. Con Roma tu giustamente noti che è un film strano, "un album di ricordi in movimento". Ho avuto la stessa sensazione, solo che come in un album di ricordi mi è sembrato che si restasse un po' sempre in superficie nelle tematiche trattate. Chi è questa Cleo per cui dobbiamo parteggiare? Quali sono le sue scelte, cosa la caratterizza se non quello che le succede? E dobbiamo parteggiare per lei solo perché soffre? E' probabilmente un ostacolo che ho io personalmente con questo tipo di narrazione, ma ammetto che la cosa mi ha creato qualche problema proprio nelle scene in cui il coinvolgimento doveva essere maggiore, lasciandomi un retrogusto sgradevole di ricatto, anche se si tratta di una sensazione completamente soggettiva. La parte "tecnica" (ma si può veramente separare dal contenuto?) mi ha lasciato invece commosso, un senso della messa in scena davvero magistrale, in cui non rammento una sequenza in cui non si notasse un'eleganza fuori dal comune, specie nei quadri di insieme, nei confronti fra la tata e i bambini, dove secondo me il film funziona meglio e regala dei momenti indimenticabili. Ad un certo punto ero quasi distratto da tanta bellezza, c'erano così tante idee che mi dimenticavo della storia e dei personaggi che mi passavano davanti. Forse Cuaron ogni tanto dovrebbe "dimenticarsi" di essere un regista per riuscire a raggiungere veramente il cuore dello spettatore (fermo restando che è un discorso soggettivo, molti erano in lacrime a fine proiezione). Bisognerà ripensarci a questo film, chissà che non mi cresca nella memoria (come è successo per Lucky)

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    1. grazie amico...

      gran film Koreeda. Io lì mi sono immedesimato meno ma di sicuro per tanti aspetti lo reputo più grande di questo. Roma è "solo" un album di ricordi ed emozioni, il film giapponese lancia spunti incredibili, e anche scomodi

      Cleo è un personaggio magnifico ma sì, quasi senza "spina dorsale". E' una di quelle persone che crede negli altri, negli affetti e che quando le succede qualcosa non sa protestare, se non a bassa voce.

      per quanto riguarda le scene più emozionanti (parto, finale) ti capisco. Io invece l'ho vissute completamente. Mentre il resto del film, a tratti, mi aveva un filo annoiato

      assolutamente no Enri, la parte tecnica è imprescindibile. La frase che ho detto era riferita proprio a me, al mio approccio col film, che è stato un approccio di ricordo (non sai quante volte ho ripesanto durante il film a piccole cose o piccoli gesti che mi ero dimenticato, penso alle scivolate sul corrimano o all'uovo alla coque).

      Se uno però non ha il mio approccio (e una recensione vera non può averlo) impossibile non parlare righe e righe della tecnica

      vero, elegantissimo, specie nei movimenti di macchina e nella costruzione dei rapporti interpersonali

      devo riflettere sul "cuaron con poco cuore" ma di sicuro ri appoggio su quanto Lucky ne abbia di più ;)

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    2. No, certo, non è che Cuaron abbia poco cuore, in questo film probabilmente ci ha messo tutto sé stesso. Quello che dicevo è che a volte ho l'impressione che la bellezza assoluta e continua "esposta" nei suoi film a volte invece di aiutare a veicolare l'emozione la ostacoli, e finisca per distrarre invece di coinvolgere, o almeno è l'effetto che ha su di me. Personalmente sono dell'idea che un grande regista debba sapere quando "nascondere" quella bellezza e quando ostentarla, e che a volte la soluzione più semplice possa essere la più efficace, ma è un discorso che ovviamente bisogna approfondire di caso in caso; questo in realtà per certi versi è anche il film di Cuaron che più punta a quella "semplicità" di cui parlo, che ha molti momenti di intimità condotti con mano quasi invisibile, mentre in Gravity e I figli degli uomini era quasi impossibile non rendersi conto della presenza di una macchina da presa.

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    3. ah, perfetto

      quasi un paradosso insomma, con la sua tecnica Cuaron rischia di sminuire o nascondere la sua anima

      su Cuaron ci devo riflettere ma in generale la penso come te, a volte il troppo cinema diluisce le emozioni, se non annienta proprio

      su Roma, come dici, questa semplicità in realtà c'è ma forse anche qui abbiamo il paradosso che più ostenti questa semplicità meno semplicità la fai percepire ;)

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  3. Roma è rimasto. Come poche cose rimangono. Ti fa malissimo, per poi leccarti le ferite. Si parla di morte, ma anche tanto di vita.
    Quel bianco e nero mi ha sussurrato di portare tutta la mia attenzione su ciò che di più profondo e umano si nascondeva dietro al mero contesto, comunque meraviglioso. Mi era capitato con El Abrazo de la Serpiente, un pomeriggio in cui la vita non aveva più sapore. Quel mondo ovattato e senza colori mi aveva riportato alla dimensione più sacra della mia anima, ad un silenzio interiore tanto rifiutato in nome di una pienezza apparente che in fondo non mi è mai appartenuta.
    Anche Roma, rifiutando il colore e la musica, riporta alle cose semplici, vere, paradossalmente sempre le più difficili da ritrovare. Cuarón non vuole semplicemente farci vedere qualcosa. Ce la vuole fare vivere così come ha vissuto lui quello spaccato di Messico negli anni '70, da bambino. Ma gli occhi sono quelli della tata Cleo. Uno dei personaggi, appunto, più semplici e veri che mi sia capitato di ammirare. Cleo è una donna forte, anche se non in apparenza. In apparenza sembra che si faccia calpestare. Lei, invece, lascia che le cose vadano esattamente come devono andare. Perché uno non può mica fare altro, no? Siamo qui, siamo tutti in gioco, si va avanti. Ma Cleo va avanti con una delicatezza e un'umanità indescrivibili. Cleo emana così tanta Presenza che quasi non ci si crede. Eppure è costantemente circondata da atti di Assenza. Anche la mamma di famiglia viene abbandonata da un uomo ormai all'apice dell'insofferenza, ritratto davvero vivo in un'unica, dolorosissima scena. È legata irrimediabilmente a Cleo. si erge in tutto il suo essere donna. In comune con Cleo ha la voglia di andare incontro alla vita, lei preparando i bambini al ritorno ad una casa svuotata (ma paradossalmente più piena di energia vitale di quanta non ce ne fosse mai stata), Cleo buttandosi in un mare che la terrorizzava. In un'acqua che, anche all'inizio del film, lava via lo sporco e tutto quello che non è semplice e vero. E quando la mamma compra la macchina nuova, il mio cuore si ferma. Perché penso a quanto i muri di quella casa stessero stretti sia alla macchina vecchia che all'uomo che li ha abbandonati. E a quanto adesso si possa ricominciare veramente a vivere.

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    1. ciao Alice :)

      assolutamente sì, Roma è un film molto più di vita che di morte. Tra l'altro l'unica morte che vediamo è comunque molto particolare, una pre-morte che addirittura, scopriremo, la protagonista "voleva"

      ci sono anche tante altre piccole morti (abbandoni) ma questo resta un film tremendamente positivo sulla vita

      sono due bianco e nero diversi, uno quello del ricordo (banale magari come scelta, ma perfetta) , l'altro lo descrivi perfettamente te

      sulla questione degli "occhi" il film è molto particolare perchè secondo me ci sono gli occhi di entrambi, lui e Cleo (ci sono anche scene dove è presente solo l'uno o l'altro).
      paradossalmente direi che questo è un film di Cleo (lei è la protagonista) ma i ricordi sono del bimbo.

      Cleo, lo dicevo sopra, sembra si lasci trasportare dagli eventi. E così è, ma solo perchè, come dici, accetta quello che accade, perchè non può modificarlo

      è un approccio "dolce" alla vita, di accettazione ma non di mera prevaricazione da parte di essa

      hai fatto benissimo a nominare il personaggio della madre, magnifico

      non so, la cosa del mare è assolutamente un andare incontro alla vita (sconfiggendo le proprie paure) ma è anche vero che resta un episodio casuale, uno dove la parte umana e coraggiosa di una persona può venir fuori

      ancora una volta un evento che ha scelto per lei ma che lei ha affrontato con grandissima umanità

      la metafora della macchina perfetta

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  4. Che sia poderoso e straordinario, che in alcuni momenti ti risucchi così come sei, ammaliato, lasciandoti vivere quelle immagini, sono cose incontestabili. Ha la forza bruta di chi sa raccontare qualsiasi storia, alternando momenti che scorrono via leggeri ad altri che semplicemente non scorrono: qualcuno rimane con delicatezza (dammi del matto ma per me è stata così la scena del canto nell'incendio) e qualcun altro con brutalità (al negozio, il parto, il salvataggio).

    È una roba enorme che deve essere lasciata lì a sedimentare, forse lo apprezzeremo tutti ancora di più col tempo (che sia benedetto, il tempo).

    Due cose però condizionano il mio giudizio, una delle quali casuale, l'altra di concetto, che sembrano banalmente legate ma so non esserlo.
    Ho avuto la "sfortuna" di vedere due giorni prima Cold War (pure in bianco/nero) di fronte al quale ho compreso di essere schiacciato da una forma d'arte di cui non avevo gli strumenti per poterla gestire e talmente estasiante da non saperne parlare. Quindi, in un certo senso, ho sbagliato a vedere un altro film così importante a breve distanza e non credo di essere lucidissimo nel giudizio.
    L'altra cosa è invece una piccola e sinceramente umile critica. Tecnicamente è suberbo, maniacale, quasi perfetto, tutto collima negli occhi e nel cuore di chi lo guarda; tuttavia quel bianco e nero è, secondo me, troppo asettico eppure troppo rivelatore. Non sto dicendo che non sia maestoso perché lo è, ma non c'è mistero, non c'è magia, si vede tutto e non si immagina nulla. Non c'è una porzione di immagine che non sia comprensibile e dunque, in pratica, non aggiunge nulla al colore. Se fosse stato girato a colori sarebbe stato egualmente magnifico, così invece è quasi fine a stesso. Mi rendo conto che sono parole forti e spero di essere stato chiaro, però io ho sentito questo.

    Da ultimo voglio dirti che ti sei superato: non ho parole per dirti quanto la tua capacità di interpretare le parti e il tutto del film, nonché poi l'abilità nel comunicare le tue emozioni sia un enorme spunto di riflessione, anche interiore.

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    1. ciao Marco!

      perfetto il tuo primo capoverso

      matto un cazzo, l'ho citata anche io come scene straordinaria. Quasi non sense, ma straordinaria

      vero, sui momenti brutali l'aborto è molto particolare perchè anche se racconta di una terribile morte c'è così tanta vita dentro che la commozione che ne deriva è sommessa, dolce.


      cavolo, anche te, come Michele sopra mi parli di Cold War

      con queste parole poi...

      interessantisismo il commento sul bianco e nero

      ma sai che invece io ho avuto sensazioni opposte qua?

      intanto un film tutto sul ricordo personale (quasi 50 anni fa) per me acquista questa forza solo in B/N (non parlo dei film di epoche passate in generale eh, ma questo qua, che è ricordo personale, di lui bambino)

      e ho anche pensato che a colori sarebbe stato un film poco più che normale ;)

      ma ci rifletto meglio ;)

      sui complimenti mi hai emozionato

      anche perchè sono arrivati in fondo, inaspettati, dopo che avevo già risposto a tutto (io rispondo "a rate", una riga vostra per volta)

      grazie infinite

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due cose

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3 ciao